Come recitava un vecchio slogan pubblicitario, prevenire è meglio che curare. Vale in tutti gli ambiti. Vale, soprattutto, quando si parla di sicurezza sul lavoro.
Dopo aver messo insieme, in un precedente articolo, tutti i pezzi del puzzle della sicurezza, andiamo ora ad approfondire l’immagine che abbiamo ottenuto. L’insieme di normative, valutazioni e buone prassi giocano un ruolo fondamentale nella prevenzione di rischi e pericoli per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Ma cosa s’intende per prevenzione sul lavoro e come si attua concretamente in azienda? Scopriamolo insieme.
Il concetto di prevenzione sul lavoro è definito dall’art. 2 del D. Lgs. 81/08. Si tratta del complesso di disposizioni e misure necessarie per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno.
La prevenzione della sicurezza sul lavoro si ricollega agli obblighi che un datore di lavoro deve rispettare nei confronti dei suoi dipendenti e collaboratori per ridurre il numero di possibili infortuni. Nello specifico, la normativa stabilisce che il titolare di un’azienda è tenuto a mettere in campo tutte le azioni di prevenzione adeguate ai possibili rischi dell’attività lavorativa specifica. Ciò in modo tale da eliminare o ridurre il più possibile gli incidenti sul luogo di lavoro (detto che il rischio zero non esiste).
Le principali misure di prevenzione che si devono adottare partono da una valutazione dei rischi dell’attività con la redazione del Documento di valutazione dei rischi (DVR). Altrettanto importanti sono la formazione e il continuo aggiornamento, in tema di sicurezza del lavoro, per tutti i lavoratori. Infine, la prevenzione sul lavoro si attua anche nell’ambiente dove si svolge l’attività lavorativa. Passa, per esempio, attraverso una corretta progettazione delle macchine e delle attrezzature per il lavoro e l’utilizzo di dispositivi di sicurezza.
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In tema di prevenzione sul lavoro, la valutazione dei rischi è un aspetto cruciale. Il datore è tenuto, per legge, a condurla in modo completo e accurato redigendo il DVR. Questa valutazione è un processo essenziale per identificare, valutare e gestire i rischi professionali che i lavoratori possono incontrare nei loro ambienti di lavoro e nelle diverse attività svolte. Esistono tre principali tipi di rischi professionali, ciascuno dei quali richiede una valutazione specifica.
La valutazione dei rischi è obbligatoria quando si costituisce una nuova impresa. In questo caso, il datore di lavoro deve avviare immediatamente il processo di valutazione dei rischi, anche se la stesura del DVR può avvenire entro 90 giorni dall’inizio dell’attività. La valutazione dei rischi è richiesta anche in caso di riorganizzazione della produzione, introduzione di nuove mansioni o cambiamenti significativi nell’organizzazione del lavoro. Inoltre, una nuova valutazione può essere necessaria in caso di infortuni sul lavoro o se i risultati della sorveglianza sanitaria rivelano la necessità di ulteriori misure preventive. La sorveglianza periodica è, pertanto, un elemento fondamentale nella prevenzione sul lavoro per garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.
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Ripetiamo spesso che, oggi più che mai, bisogna aumentare la cultura della sicurezza sul lavoro. In questo senso, la prevenzione sul lavoro è un gioco di squadra: tutto l’organigramma aziendale deve essere, infatti, coinvolto e sentirsi parte della “sfida sicurezza”.
Pensiamo, per esempio, ai dispositivi di protezione. Sappiamo che giocano un ruolo fondamentale nel ridurre l’esposizione dei lavoratori ai rischi professionali. Inizialmente, il datore di lavoro dovrebbe privilegiare l’adozione di dispositivi di protezione collettiva. Infatti, questi strumenti agiscono direttamente sulla sorgente del rischio e, quindi, contribuiscono in modo significativo a ridurlo.
Tuttavia, vi sono situazioni in cui questo potrebbe non essere sufficiente. Entrano in gioco, quindi, i dispositivi di protezione individuale (DPI). Questi devono rispettare alcune importanti caratteristiche: devono essere adatti alla tipologia di rischio professionale da prevenire e non devono aumentare il rischio. Inoltre, devono tener conto delle esigenze ergonomiche e della salute dei lavoratori, conformarsi agli standard qualitativi stabiliti dalla legge² ed essere adattabili alle condizioni di lavoro. Infine, i dispositivi di protezione devono essere personalizzabili per soddisfare le esigenze specifiche di ciascun lavoratore. L’efficacia dei DPI richiede soprattutto l’impegno attivo dei dipendenti, che devono saperli utilizzare in maniera corretta seguendo una specifica formazione e trattarli con cura per evitare danni o usura prematura. Nel caso di malfunzionamento o guasti, bisogna segnalarlo tempestivamente al datore di lavoro. I lavoratori devono contribuire attivamente alla sicurezza e alla prevenzione sul lavoro partecipando a corsi di formazione e sottoponendosi a visite mediche periodiche di sorveglianza sanitaria.
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C’è, poi, la formazione dei lavoratori, un pilastro essenziale per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro. Non si tratta solo di ottemperare agli obblighi di legge: è un investimento strategico per un’azienda. Per ogni azienda.
Da questo punto di vista, la normativa prevede che un’adeguata formazione informi i lavoratori sui rischi ordinari, specifici e da interferenza associati al loro ambiente di lavoro. Inoltre, si devono ricevere istruzioni e addestramento su procedure di primo soccorso e antincendio. Come evidenziato in un precedente articolo dedicato al tema, la formazione generale e quella specifica costituiscono le fondamenta (obbligatorie) su cui poi va costruita la “casa della formazione”. Andranno, cioè, aggiunti i corsi specifici previsti da norme e accordi. La prevenzione sul lavoro si attua, insomma, anche attraverso una formazione e un aggiornamento puntuali in base al settore e alla mansione.
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NOTE
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C’è, ma non si vede. Il rischio chimico riguarda da vicino tutte le aziende che utilizzano sostanze potenzialmente pericolose per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Si tratta di una delle fonti di pericolo più diffuse. Contrariamente a quanto si pensi, non s’insidia soltanto in aziende chimiche e laboratori, ma coinvolge un’ampia gamma di industrie e settori.
Non a caso, il D.Lgs. 81/2008, dedica ampio spazio alla valutazione del rischio chimico. Chiarendo, tra l’altro, obblighi del datore di lavoro e misure per la prevenzione e per la protezione dei lavoratori. Per agevolare il processo di valutazione, il team di e_labo ha messo appunto una soluzione specifica che raccoglie i dati delle schede di sicurezza dei prodotti. Si chiama “Gestione prodotti e schede di sicurezza”: scopriamo come funziona.
La valutazione del rischio chimico è una componente imprescindibile per la sicurezza sul lavoro. Tanto da rendere obbligatorie specifiche misure di prevenzione e protezione dei lavoratori. In questo ambito, il Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro si integra con i regolamenti europei:
Quest’ultimo, in particolare, prevede che i produttori di sostanze chimiche pericolose provvedano all'identificazione dei rischi fornendo agli utilizzatori finali le informazioni necessarie all’uso del prodotto. Un prodotto classificato come pericoloso deve essere sempre accompagnato dalla relativa scheda di sicurezza. Il Safety Data Sheet (SDS) è uno strumento fondamentale per la valutazione del rischio chimico, poiché fornisce le informazioni connesse all'uso, allo stoccaggio e all’esposizione alla sostanza.
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Conoscere le caratteristiche di pericolosità delle sostanze chimiche, così come la capacità di leggere etichette e schede di sicurezza, sono elementi cruciali per limitare i rischi dovuti all’esposizione a sostanze pericolose.
È partendo da questo assunto che il nostro team di ricerca e sviluppo ha realizzato “Gestione prodotti e Schede Di Sicurezza". Si tratta di un software per la valutazione del rischio chimico che si basa su un semplice form, creato con Excel. Lo scopo principale è raccogliere dati provenienti dalle schede di sicurezza dei prodotti chimici. Restituendo un elenco di tutte le proprietà specifiche di ogni prodotto, il programma consente di avere una visione globale ma di dettaglio dei rischi introdotti dall’azienda all’interno del ciclo di produzione. È, infatti, possibile capire nell’immediato se sono presenti sostanze pericolose come, per esempio, quelle estremamente preoccupanti (SVHC) nonché quelle cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione. In questo senso, più il software viene aggiornato con i prodotti chimici presenti in azienda, più la valutazione del rischio chimico sarà precisa.
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Il software e_labo per la valutazione del rischio chimico è applicabile ed è già utilizzato in svariati ambiti e settori, dall’industria conciaria a quella metalmeccanica. Più ampiamente, dà il suo contributo in tutte le realtà che fanno utilizzo di prodotti chimici. Nei campi dell'industria tessile e di quella conciaria, per esempio, aiuta l'azienda a tenere sotto controllo i livelli di conformità di ogni prodotto. Tra le funzioni offerte spicca, inoltre, la possibilità di controllare:
Oltre a fornire una visione generale di tutte le caratteristiche dei prodotti presenti in azienda, il programma consente alle imprese di essere sempre al passo con normative e protocolli vigenti. Ciò è possibile grazie all’aggiornamento costante del database da parte degli sviluppatori di e_labo. L’applicativo è di facile utilizzo: non sono, infatti, necessari particolari programmi per implementare il servizio in azienda; bastano pc con sistema operativo Windows 8 o superiori e Microsoft Excel.
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NOTE
¹ Per approfondire: Il regolamento Reach in breve, INAIL
² CLP - Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele, Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro
La sicurezza sul lavoro, lo si ripete spesso, è qualcosa che si costruisce nel tempo, mattone su mattone. Ma anche, a ben vedere, mattoncino dopo mattoncino. Sì, parliamo proprio di Lego. Tutti noi, almeno una volta, ci siamo cimentati con i celebri mattoncini assemblabili dell’azienda danese, costruendo città e astronavi o replicando monumenti storici. Con i Lego si può davvero dare libero sfogo alla creatività, costruendo tutto ciò che l’immaginazione è in grado di inventare, a ogni età. Non tutti sanno, però, che i mattoncini colorati possono essere un prezioso alleato per plasmare la cultura della sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Come? Attraverso il metodo Lego Serious Play (LSP). Originariamente, questa metodologia era stata sviluppata per stimolare la creatività e la comunicazione all’interno dei diversi team aziendali. Oggi esistono dei veri e propri corsi Lego Serious Play per le figure preposte alla sicurezza sul lavoro. Scopriamo di più.
La metodologia Lego Serious Play¹ è stata sviluppata all’inizio degli anni 2000 grazie alla collaborazione tra Lego Group e la business school IMD di Losanna. Questo approccio innovativo è stato progettato per potenziare l’innovazione e le prestazioni aziendali. Lego Serious Play vuole favorire l’apprendimento per affrontare sfide complesse nei contesti aziendali. Sfruttando i mattoncini colorati come strumento metaforico per l’espressione e la discussione, si ottiene una facilitazione e un’accelerazione dei processi decisionali.
Con Lego Serious Play, inoltre, l’apprendimento diventa più chiaro e concreto, consentendo una migliore comprensione dei concetti. Viene messa al centro la costruzione manuale di modelli tridimensionali che rappresentano il tema in questione, che può riguardare strategie e relazioni aziendali, relazioni o, appunto, la sicurezza sul luogo di lavoro.
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Attraverso l’utilizzo dei mattoncini Lego e i modelli creati con essi, i partecipanti ai corsi Lego Serious Play hanno l’opportunità di esprimere concetti e idee che spesso sono difficili da comunicare verbalmente. I Lego hanno la caratteristica unica di far emergere problemi e stimolare la ricerca di soluzioni. Le potenzialità dei mattoncini colorati, nell’ambito educativo, seguono il principio di “pensare con le mani” di Maria Montessori. Questo approccio è applicabile sia ai bambini sia agli adulti, poiché consente di affrontare una varietà di dinamiche attraverso un metodo che migliora la consapevolezza e la comprensione della comunicazione.
La struttura di un corso Lego Serious Play si basa su quattro fasi principali.
Questo ciclo di quattro fasi viene ripetuto più volte durante il corso, insieme ad altre attività, al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati.
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Il corso Lego Serious Play applicato alla sicurezza sul lavoro disegna, dunque, una formazione “esperienziale” e partecipata. Si parte dall’approccio standard illustrato in precedenza, ma ogni corso viene progettato in base alle esigenze specifiche dell’azienda e del gruppo di partecipanti. È anche qui che risiede buona parte della sua efficacia.
I temi affrontati possono essere molteplici e la metodologia si applica a un’ampia varietà di situazioni negli ambiti della salute e della sicurezza sul lavoro. Da una gestione efficace dei near miss a come ottenere un DVR più efficace. Da una comunicazione più efficace alla gestione delle emergenze. Per la sua natura, Lego Serious Play è valido per l’aggiornamento delle varie figure preposte alla salute e alla sicurezza sul lavoro (datore di lavoro, dirigenti, preposti, RLS, RSPP/ASPP). È un’eccellente occasione, tuttavia, anche per formatori e facilitatori, aziendali e indipendenti.
A guidare le sessioni di Lego Serious Play è un facilitatore, in possesso di apposita certificazione LSP necessaria per poter erogare il corso.
Dopo un’introduzione alla metodologia, vengono poste ai partecipanti delle domande specifiche che, nel nostro caso, hanno come tema portante la sicurezza sul lavoro. In risposta a ciascun quesito, i partecipanti creano una costruzione con mattoncini Lego che rappresenta la loro prospettiva sul tema. Una volta completata la costruzione, ciascuno spiega il significato della sua creazione e condivide il proprio punto di vista. Queste sessioni proseguono con una serie di domande che affrontano vari aspetti dell’attività di sicurezza sul lavoro, consentendo a ciascun partecipante di esprimere le sue opinioni e contribuire al processo di crescita dell’azienda. Da costruire mattone dopo mattone. Anzi, mattoncino dopo mattoncino.
NOTE
¹ Scopri di più: Lego Serious Play
Torniamo a occuparci di OT23. Di recente, infatti, è stata pubblicata dall’INAIL la versione aggiornata del modulo¹, con la relativa guida alla compilazione per inoltrare la domanda di riduzione del tasso medio per prevenzione per l’anno 2024. Poche novità rispetto alla versione precedente, limitate alla riformulazione di alcuni specifici interventi. Come abbiamo visto in un precedente articolo, questa agevolazione premia coloro che attuano miglioramenti nelle condizioni di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, oltre a quelli già stabiliti dalla legge. In questo articolo cerchiamo di rispondere in modo efficace alle domande che possono sorgere alle imprese leggendo il nuovo modello OT23 2024.
Tra le conferme del modello OT23 2024, c’è quella relativa alla portata della riduzione del premio INAIL. Nei primi due anni di inizio di attività della PAT (posizione assicurativa territoriale), la riduzione ha una misura fissa dell’8%. Passato questo biennio, la percentuale di riduzione è determinata in relazione al numero dei lavoratori-anno del triennio della stessa PAT. Nel dettaglio:
La riduzione è, comunque, concessa solamente dopo l’accertamento dei requisiti di regolarità contributiva del datore di lavoro richiedente come precisato nella circolare Inail n.61 del 26 giugno 2015². Inoltre, devono essere state osservate tutte le disposizioni in materia di prevenzione infortuni e di salute sul lavoro.
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La domanda per il modulo OT23 2024 può essere presentata da tutte le aziende. Questo a prescindere dall’anzianità dell’attività, purché abbia almeno una posizione assicurativa territoriale (PAT) e gli interventi migliorativi siano stati realizzati nell’anno precedente quello di presentazione della domanda. Quindi, nel caso del modello OT23 2024, l’anno di riferimento è il 2023.
Per ottenere la riduzione, l’azienda deve compilare e inviare un’apposita istanza, denominata “Modulo per la riduzione del tasso medio per prevenzione” esclusivamente in modalità telematica attraverso la sezione Servizi Online sul sito INAIL, entro il 29 febbraio 2024.
Tanto l’azienda quanto l’INAIL hanno la facoltà di fornire o richiedere ulteriore documentazione per dimostrare quanto dichiarato nel modulo.
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Nel modulo OT23 2024 è presente una tabella con tutti i miglioramenti che comportano una riduzione del tasso medio per la prevenzione. In particolare, restano 6 le macro sezioni, a loro volta suddivise in micro sezioni più specifiche. Facciamo qualche esempio:
Un altro esempio di intervento migliorativo è l’acquisto o installazione di sistemi di comunicazione per cellulari con dispositivo fisso di chiamata vocale diretta su tutti i veicoli aziendali. Questo intervento può essere eseguito solo da aziende che dispongano di veicoli propri condotti da loro dipendenti.
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Ogni intervento ha un punteggio che va da un minimo di 40 a un massimo di 100 punti. Per poter accedere alla riduzione, è necessario che l’azienda abbia effettuato degli interventi migliorativi tali che la somma dei punteggi sia pari almeno a 100. Il punteggio, poi, viene calcolato per ogni PAT. Se un’azienda ne possiede di più, per tutte le PAT è necessario aver effettuato interventi migliorativi che diano come punteggio almeno 100.
Nella tabella INAIL sono presenti, inoltre, interventi contrassegnati dalla lettera P, ovvero con valenza pluriennale. Significa che, in caso di attuazione di interventi pluriennali, bisogna presentare il Modulo OT23 ogni anno per attestare il loro mantenimento e la loro continuità. La riduzione ha validità solo per l’anno in cui viene presentata la domanda.
Tuttavia, è possibile rendere pluriennale la riduzione del premio INAIL. Per esempio, adottando un Sistema di gestione della sicurezza sul lavoro (SGSL). Si tratta, a tutti gli effetti, di una grande opportunità. Non solo per l’allungamento temporale, ma anche e soprattutto per creare un ambiente di lavoro sano e sicuro, prendendo tutte le misure necessarie a prevenire infortuni e incidenti. L’efficacia e la validità prevenzionale dei SGSL è dimostrata da numerose ricerche, che evidenziano riduzioni rilevanti nella gravità e nella frequenza degli infortuni all’interno delle aziende che li hanno adottati.
Siamo a disposizione per assisterti nell’adozione di interventi che permettano di raggiungere gli obiettivi di OT23 2024, massimizzando il beneficio economico dell’incentivo.
Per saperne di più, contattaci.
Ci trovi ad Arzignano, in provincia di Vicenza.
NOTE
¹ Qui è disponibile il modello di domanda per la riduzione del tasso medio per prevenzione per l’anno 2024 (OT23)
² Per saperne di più: Circolare Inail n. 61 del 26 giugno 2015
³ Per approfondire: Decreto Legislativo 17/2010
L’inizio, sosteneva Platone, è la parte più importante del lavoro. Un assunto che resta valido anche oggi. Pensiamo all’avvio di una nuova azienda, che richiede una pianificazione accurata e attenzione a numerosi dettagli. Anche, e soprattutto, a livello di obblighi da rispettare in materia di salute e sicurezza. In questo articolo ci concentriamo proprio su questo aspetto, chiarendo quali sono i principali adempimenti sulla sicurezza sul lavoro che le aziende di nuova costituzione devono rispettare.
Qualsiasi sia l’ambito e il settore di appartenenza, la sicurezza sul lavoro è una questione di importanza cruciale. Non si tratta solo di un obbligo sancito dal Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/08). Come evidenziato in un precedente articolo, la sicurezza sul lavoro va intesa come un investimento. Per tutti: datore di lavoro, dipendenti e collaboratori, per l’azienda stessa.
Delle varie figure chiave coinvolte nella gestione della sicurezza aziendale, molto è in capo al datore di lavoro, tra obblighi non delegabili e altri delegabili. È lui il principale responsabile della sicurezza in azienda, esercitando poteri decisionali e di spesa. Nello specifico, in caso di inizio di una nuova attività (o di ampliamento di una realtà già avviata), al datore di lavoro spettano vari compiti. Tra questi:
Qualora, poi, l’attività da avviare fosse ritenuta insalubre, sarà obbligatorio darne comunicazione allo Sportello Unico per le Attività Produttive, che provvederà alla trasmissione della pratica all’ASL per la proposta di classificazione. Inoltre, Il Testo Unico Ambientale indica che, per tutti gli stabilimenti che producono emissioni, debba essere richiesta una specifica autorizzazione¹.
Accanto a questi obblighi per le aziende di nuova costituzione, esistono degli adempimenti sulla sicurezza sul lavoro che riguardano le aziende, indipendentemente dal loro ciclo di vita.
Tra questi, la valutazione dei rischi: è la prima, fondamentale misura generale di tutela dei lavoratori. Si tratta dell’obbligo più importante, poiché è in grado di identificare i rischi e di individuare le misure di sicurezza da adottare per prevenire infortuni e malattie professionali. Grazie al Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), obbligatorio in tutta le aziende con almeno un lavoratore, è possibile svolgere un’analisi dettagliata e sistematica dei potenziali pericoli e delle misure preventive da adottare per mitigarli. Tale documento, lo ricordiamo, è da aggiornare ogniqualvolta vengano, per esempio, introdotti nuovi macchinari o significative modifiche al processo produttivo. Inoltre, tra gli adempimenti per la sicurezza sul lavoro che il datore di lavoro deve garantire vi sono le:
Il datore di lavoro, dunque, è chiamato a creare condizioni di lavoro conformi agli standard di sicurezza. Ciò include anche l’adozione di idonei presidi di sicurezza come DPI, mezzi estinguenti e cassette di primo soccorso.
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Gli adempimenti per la sicurezza sul lavoro obbligatori, abbiamo visto, sono numerosi e riguardano ogni aspetto della sicurezza aziendale. A volte, specie in caso di avvio di una nuova attività, il dedalo di normative da rispettare e documentazioni da produrre può rappresentare uno scoglio per un imprenditore. Con l’aggiunta che, in caso di errore o dimenticanze, il conto rischia di essere salato, non solo dal punto di vista economico. Sapevi, per esempio, che la mancata elaborazione del DVR può determinare la sospensione dell’attività imprenditoriale? Uno stop, proprio all’inizio di una nuova avventura, non è proprio il massimo.
È qui che entrano in gioco i consulenti e_labo. In vista del sopralluogo presso la sede di un’azienda, ci avvaliamo di una check list. Si tratta di uno strumento pratico che fornisce un elenco dettagliato dei principali adempimenti per la sicurezza sul lavoro da rispettare e dei documenti fondamentali da avere in azienda, definendo e condividendo lo stato dell’arte. Dal CPI, se presente, all’agibilità, dalla dichiarazione di conformità degli impianti elettrico e termoidraulico al registro delle verifiche periodiche. Passando, tra gli altri, per l’elenco dei prodotti chimici in uso, i manuali d’uso e manutenzione dei macchinari, le valutazioni dei rischi specifiche. Tale strumento consente di applicare correttamente le procedure lavorative rilevando eventuali problematiche in grado di compromettere la sicurezza. La check list non è vincolante, ma può costituire un utile metodo di autovalutazione.
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NOTE
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¹ Per approfondire: Autorizzazione alle emissioni in atmosfera
La salute e la sicurezza sul lavoro sono una questione che interessa ogni settore, professione e mansione. È una prerogativa imprescindibile che vale tanto per i lavoratori dipendenti quanto per quelli autonomi. Operando in proprio, infatti, il lavoratore autonomo deve prendersi cura in prima persona della propria salute e sicurezza, così da scongiurare eventuali infortuni e malattie professionali. In questo articolo esploriamo, allora, le facoltà e gli obblighi del lavoratore autonomo in materia di salute e sicurezza.
Parlando di lavoratori autonomi, ci si riferisce a quelle figure professionali che svolgono il proprio lavoro senza vincoli di subordinazione nei confronti del committente. Si distinguono dalle imprese individuali, in quanto non hanno personale dipendente a carico.
Essere autonomo non significa essere esente da doveri e responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro. Questa è la conditio sine qua non per svolgere le proprie mansioni senza esporre se stessi e altri a rischi e pericoli. A tal proposito, l’articolo 21 del D. Lgs. 81/2008 individua gli obblighi del lavoratore autonomo in materia di salute e sicurezza. Vale a dire:
Inoltre, nel caso si operi in un luogo di lavoro in cui si svolgono attività in regime di appalto o subappalto, il libero professionista dovrà munirsi di un’apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia e contenente le proprie generalità.
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Il TUS non prevede soltanto obblighi del lavoratore autonomo in materia di salute e sicurezza. Per gli autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’articolo 2222 del Codice Civile è prevista la facoltà di beneficiare della sorveglianza sanitaria. Ciò significa che, a differenza dei lavoratori dipendenti, per queste figure la sorveglianza sanitaria non è obbligatoria, ma volontaria. Pertanto, qualora il lavoratore decidesse di sottoporsi a tali accertamenti sanitari, gli oneri saranno a suo carico.
Il D. Lgs. 81/2008 prevede, inoltre, che il lavoratore abbia la facoltà di partecipare a corsi di formazione specifica (anche finanziata) incentrati sui rischi propri delle attività svolte. Dunque, fermi restando gli obblighi previsti da speciali norme, la formazione dei lavoratori autonomi non è obbligatoria. Come, però, ribadiamo spesso, la formazione non va intesa solo come un mero rispetto della legge vigente. SI tratta, piuttosto, di un investimento e di un’opportunità. A maggior ragione, se si parla di lavoratori autonomi e di liberi professionisti.
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Per essere proattivi nella gestione della sicurezza sul lavoro, lavoratori autonomi e liberi professionisti dovrebbero tenere in considerazione i rischi delle proprie attività e agire di conseguenza per gestirli in modo adeguato.
Di norma, in un contratto d’opera, il committente inserisce un articolo in cui declina ogni responsabilità in caso di eventuali danni che dovessero occorrere al lavoratore autonomo. Questo nel caso in cui risultasse che tali danni non si sarebbero prodotti senza l’inosservanza, da parte dello stesso, delle norme al cui rispetto è tenuto. Facciamo un esempio. La redazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) non rientra tra gli obblighi per la sicurezza del lavoratore autonomo. Tale obbligo resta unicamente in capo al datore di lavoro. Quest’ultimo, qualora decidesse di avvalersi del servizio di un lavoratore autonomo, è tenuto a fornirgli tutte le informazioni concernenti i rischi sul lavoro e a verificare l’effettiva idoneità tecnico-professionale del professionista. Il lavoratore autonomo dovrà, pertanto, esibire:
In questo modo, si potranno accertare le capacità tecniche e professionali del lavoratore autonomo che consentono di svolgere il lavoro in sicurezza.
Torniamo a occuparci di prevenzione incendi. Il 4 ottobre 2022 è entrato in vigore il nuovo D.M. 21 settembre 2021 sulla gestione in esercizio e in emergenza della sicurezza antincendio. L’atto normativo sostituisce il precedente decreto del 10 marzo 1998. Una grande novità riguarda la cadenza dell’aggiornamento degli addetti antincendio. Infatti, la frequenza dei corsi di aggiornamento diventa quinquennale anziché triennale, come in precedenza considerato. Se sono trascorsi più di cinque anni dall’ultima formazione o aggiornamento al momento dell’entrata in vigore del decreto, l’obbligo di aggiornamento deve essere adempiuto entro il 4 ottobre 2023.
Come evidenziato in un precedente articolo, con il nuovo decreto ministeriale sono state introdotte nuove denominazioni per i percorsi formativi, suddividendoli in tre gruppi in base al livello di rischio dell’attività. Nel dettaglio:
Il nuovo decreto, inoltre, promuove l’utilizzo di metodologie di apprendimento innovative per la parte teorica dei corsi, incluso l’uso della formazione in videoconferenza. Tuttavia, per ogni livello di attività è richiesta una parte pratica da svolgere in presenza.
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Con la nuova suddivisione delle attività, anche i corsi di aggiornamento formazione per addetti antincendio sono suddivisi in tre tipologie in base al livello di rischio.
Per le attività del Livello 1, il corso di aggiornamento antincendio di tipo 1-AGG, della durata di 2 ore, si concentra sulle esercitazioni pratiche. I partecipanti si aggiornano sulle misure di sorveglianza e sull’uso degli estintori portatili, con una prova di spegnimento su apposito focolare.
Per le attività di Livello 2, il corso di tipo 2-AGG, della durata di 5 ore, comprende una parte teorica in aula, che riguarda gli argomenti del corso di formazione iniziale, ed esercitazioni pratiche. Si trattano i principi dell’incendio, la prevenzione, la protezione antincendio e procedure da attuare in caso di incendio. Infine, per le attività del terzo livello, il corso di tipo 3-AGG, della durata di 8 ore, include una parte teorica ed esercitazioni pratiche. Gli argomenti trattati sono selezionati dal corso di formazione iniziale e comprendono l’incendio, la prevenzione, la protezione antincendio e le procedure di intervento.
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Riepilogando, per gli addetti alla prevenzione incendi le scadenza da tenere a mente sono le seguenti:
Ricordiamo che i corsi antincendio sono obbligatori per tutte quelle attività con almeno un dipendente o collaboratore. Le novità riguardano anche noi formatori. I professionisti antincendio, per mantenere la qualifica di formatore in materia di prevenzione incendi nei luoghi di lavoro, devono svolgere corsi di aggiornamento entro cinque anni dal rilascio dell’attestato. L’aggiornamento quinquennale prevede almeno 16 ore per i docenti che erogano sia moduli teorici sia pratici, 12 ore per quelli che erogano solo moduli teorici e 8 ore per quelli che erogano solo moduli pratici. La partecipazione a corsi di base e seminari di aggiornamento può essere considerata come attività di aggiornamento per la parte teorica.
Scopri le prossime date dell’aggiornamento corso antincendio: consulta il calendario e prenota il tuo posto
NOTE
Siamo nati nel 2003. Nello stesso anno in cui, coincidenza, si celebrava la prima giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro. Siamo nati, in particolare, in estate: a luglio, per l’esattezza. E_labo, insomma, compie 20 anni: da laboratorio di analisi a laboratorio per la sicurezza aziendale, a 360°. Siamo cresciuti e cambiati molto in questi anni e allora vogliamo cogliere l’occasione di questo traguardo per parlare un po’ di noi. Di quello che eravamo, di quello che siamo diventati, di quello che vogliamo essere in futuro, per le aziende e i lavoratori.
Intanto, perché il nome e_labo? È la contrazione di Enrico-laboratorio. Enrico come Enrico Masiero (oggi amministratore delegato), figlio di Carlo, fondatore di Pragma Chimica, azienda che è stata terreno di coltura per la nostra. La terminologia non è casuale: di questo, infatti, ci occupavamo agli esordi. Inizialmente eravamo un laboratorio di analisi chimiche e microbiologiche a supporto dell’attività di Pragma, nata qualche anno prima sempre ad Arzignano (VI). Il nome, insomma, racchiude l’inizio della nostra storia ed è un riferimento alle nostre origini, per noi importanti. Ecco perché non abbiamo mai pensato di cambiarlo, anche oggi che la nostra realtà è così incredibilmente diversa.
È dal 2005, con l’ingresso in azienda di Andrea Fracasso, che abbiamo iniziato a occuparci di sicurezza sul lavoro. Andrea, ingegnere chimico, ha portato la sua dote di esperienza, conoscenza ed entusiasmo su un tema che, nel frattempo, vedeva crescere in Italia una nuova sensibilità. Carlo Masiero ci ha messo l’innata intuitività, la visione e due altre doti che gli erano proprie: la passione e la fiducia nelle persone. “E_labo – sosteneva – è un libro bianco in cui chiunque entra, e ha le capacità, deve poter scrivere”. Sono questi i valori che, oggi come allora, forgiano il nostro essere e rappresentano la nostra bussola.
Negli anni, la nostra squadra si è allargata: nei numeri (oggi siamo in dieci) e nella professionalità. Questo ci ha consentito di arricchire costantemente l’offerta, restando un laboratorio, ma per la sicurezza aziendale, a 360°.
Oggi ci occupiamo di formazione professionale qualificata e affianchiamo lavoratori e aziende individuando le migliori soluzioni per la sicurezza, l’efficienza e la qualità del lavoro. Il settore prevalente resta la concia (siamo anche soci del Distretto Veneto della Pelle¹). Del resto, Arzignano e la Valle del Chiampo rappresentano uno dei maggiori distretti conciari del mondo e il più importante in Italia per produzione e numero di addetti. Seguiamo, però, anche tanti altri ambiti: dalla meccanica al tessile, dai marmi all’oreficeria.
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Migliorare il tuo lavoro è il nostro mestiere. Così recita il payoff di e_labo. È un impegno quotidiano che prendiamo con chi ci sceglie. Dalla piccola realtà artigiana alla grande industria. Se prima abbiamo parlato di terreno di coltura, qui potremmo parlare di… buona semina. Come molti, all’inizio abbiamo girato, azienda per azienda, per proporre i nostri servizi. Attualmente seguiamo come RSPP un centinaio di clienti. Sono oltre 300, però, quelli cui globalmente offriamo i nostri servizi tra formazione, prevenzione incendi e consulenza. “L’obiettivo è crescere ancora – spiega Fracasso, oggi socio e amministratore di e_labo –. Stiamo portando avanti certificazioni sempre più complesse, seguiamo l’evoluzione della normativa, allarghiamo e affiniamo le nostre competenze per poter offrire risposte sempre più puntuali alle necessità delle imprese”. Anche facendo squadra e lavorando sul territorio, un altro dei nostri cavalli di battaglia: la collaborazione con Shop Sicurezza ne è un esempio. Aggiungiamo, insomma, ogni volta una nuova pagina a quel grande libro bianco.
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Come si celebrano vent’anni? Guardando indietro, per ricordarsi da dove si è partiti e il percorso che si è fatto. Ma, soprattutto, guardando avanti, per comprendere in anticipo i bisogni. Lavoriamo per irrobustire sempre più la nostra offerta e perché possa essere di qualità, incisiva e davvero a supporto di aziende e professionisti.
“In questo senso, stiamo puntando su attività nuove – sottolinea Fracasso –, in primis sul benessere organizzativo. Collaboriamo con una psicologa e con altri professionisti che fanno corsi motivazionali e sulla gestione del personale. È un tema importantissimo, a mio avviso, nel futuro prossimo: anzi, nel futuro presente. È vero, ci sono le nuove tecnologie e le macchine 4.0, ma, nel frattempo, le persone hanno sempre più difficoltà a comunicare. Temi come la mindfulness e il benessere organizzativo non sono slegati da quel che facciamo: devono essere complementari”.
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Quella della salute e della sicurezza sul lavoro è una materia in costante evoluzione. Negli anni, la sicurezza è entrata sempre più nelle aziende: c’è maggiore consapevolezza, è cresciuta l’attenzione alla persona, si sono moltiplicate le iniziative di sensibilizzazione. Anche grazie a interventi normativi di peso, come il D.Lgs. 626 del 1996 e, soprattutto, il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro del 2008. Sono aumentati anche i controlli, ma, come ripetiamo spesso, la sicurezza va intesa, più che altro, come un investimento. A tutto tondo.
Bisogna aumentare la cultura della sicurezza sul lavoro: una sfida che coinvolge tutti. La formazione, in questo, svolge un ruolo essenziale. E qui sta una peculiarità dell’approccio e_labo. “Noi non vendiamo sicurezza: noi facciamo sicurezza – specifica Fracasso –. Non siamo produttori di documenti: piuttosto, diamo soluzioni e accompagniamo l’azienda in un percorso virtuoso. Viviamo la formazione quasi come una missione dal sapore antico: una trasmissione di conoscenze”. È così che, per noi, si può davvero fare la differenza. E costruire il futuro nei fatti.
NOTE
¹ Il progetto di e_labo: fare squadra per una sostenibilità condivisa, Distretto Veneto della Pelle
La sicurezza sul lavoro è un tema cruciale. Per tutti i lavoratori. Ciò indipendentemente dalla nazionalità o dalla lingua madre. Per gli stranieri che vivono e lavorano in Italia, tuttavia, la comprensione della materia sicurezza sul lavoro può talora rappresentare una vera sfida proprio dal punto di vista linguistico. Si tratta di abbattere le barriere. Operando sul campo, abbiamo raccolto per tempo la sfida. Ecco perché, da tempo, eroghiamo formazione sulla sicurezza ai lavoratori stranieri anche in inglese. E non solo: ci siamo testati anche con la lingua indiana. Come? Attraverso un lavoro sinergico con degli interpreti. Del resto, la formazione deve arrivare a tutti i lavoratori. Anche perché non si tratta di un mero attestato per ottemperare agli obblighi di legge. È, piuttosto, un percorso di crescita personale e un’opportunità. Per lavorare meglio, più sicuri.
La formazione sicurezza ai lavoratori stranieri non è solo un obbligo morale. È prevista dalla legge. In particolare, il Testo Unico sulla Sicurezza stabilisce che:
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Sempre il TUS sottolinea che, nei confronti dei lavoratori stranieri, i corsi devono essere realizzati previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare e con modalità che assicurino la comprensione dei contenuti.
Una di queste modalità è la presenza di un mediatore interculturale o di un traduttore. È importante, comunque, che il lavoratore straniero apprenda un minimo della lingua italiana, per la comunicazione con gli altri dipendenti e con il datore di lavoro. Al fianco di corsi sulla sicurezza, è necessario anche frequentare corsi di lingua italiana.
Non è tutto. L’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 sottolinea che le imprese che occupano lavoratori stranieri devono garantire una formazione adeguata, anche in materia linguistica. Ciò al fine di favorirne l’inserimento e la qualificazione professionale. La formazione deve tener conto delle competenze e conoscenze pregresse dei lavoratori stranieri e deve essere qualificata, ovvero di livello adeguato alle esigenze del lavoratore e del contesto professionale.
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Nello specifico, nel territorio vicentino esiste un problema di lingua dato dall’elevato numero di lavoratori stranieri, soprattutto nei settori che richiedono molta manodopera. Secondo i dati dell’ultimo Rapporto Immigrazione dell’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità del Veneto², nel 2021 le percentuali di assunzione di persone straniere hanno riguardato:
Anche la concia vede impiegati molti lavoratori stranieri. Nel 2019 i lavoratori stranieri occupati nel settore conciario in Veneto erano oltre 4.000, circa il 40% degli occupati totali del settore. Presenza di lavoratori stranieri che era ed è particolarmente elevata in alcune province venete, tra cui proprio Vicenza. Un numero così elevato di lavoratori stranieri che possono non comprendere bene la lingua italiana può portare a situazioni di pericolo e a infortuni sul lavoro. L’erogazione di corsi di sicurezza in inglese o in lingua indiana nasce, quindi, anche da una necessità: cercare di prevenire ogni possibile rischio.
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Uno dei capisaldi nella formazione sulla sicurezza è che essa sia recepita e compresa da tutti. Per questo, nell’ambito della formazione sicurezza ai lavoratori stranieri, collaboriamo da tempo con interpreti di lingua inglese e indiana che ci aiutano durante i corsi. Il lavoro dell’interprete è molto importante: non si limita a tradurre ciò che noi formatori diciamo. Bensì, si prepara adeguatamente sugli argomenti che presentiamo, in modo tale da essere più chiaro durante la traduzione.
Al termine del corso, viene erogato un test, anch’esso tradotto in inglese o in indiano, per evitare errori o incomprensioni legati alla lingua italiana. Per noi, la qualità della proposta formativa passa anche da questo intervento corale, senza lasciare indietro nessuno. D’altronde, la formazione sulla sicurezza è un percorso condiviso e che porta benefici a tutti i soggetti coinvolti.
NOTE
¹ Per approfondire: D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul lavoro
È un’attrezzatura che trova impiego all’interno di stabilimenti produttivi, magazzini ma anche cantieri, porti e depositi ferroviari. Parliamo della gru a ponte o, più comunemente, carroponte. Si tratta di un macchinario automatizzato destinato allo spostamento di materiali e merci particolarmente pesanti e di grosse dimensioni. Il suo impiego comporta diverse situazioni di rischio per gli operatori responsabili del suo utilizzo e per coloro che lavorano negli stessi ambienti. È, dunque, necessario informare e addestrare gli addetti al corretto utilizzo di tali macchinari attraverso un’adeguata formazione. Scopriamo cosa propone il corso carroponte, la durata e la frequenza dell’aggiornamento.
L’utilizzo delle attrezzature di movimento, come carroponte e gru a bandiera, richiede conoscenze, competenze e responsabilità specifiche. Motivi per i quali è indispensabile, affinché si possa operare in sicurezza e legalmente, frequentare un corso abilitante. Per accedervi è necessario aver prima frequentato i corsi di formazione generale e specifica. Per la natura del ruolo, è richiesto il possesso dei requisiti psico-fisici. Il corso carroponte prevede:
Il corso carroponte, organizzato di norma presso l’azienda che ne fa richiesta, fornisce ai lavoratori tutte le conoscenze necessarie per l’utilizzo in sicurezza delle attrezzature di sollevamento. La durata del corso carroponte non è normata e può essere di 4 o 8 ore, al termine della quali, a fronte della frequenza del 90% delle monte ore totale, viene rilasciato un attestato di frequenza. Per quanto riguarda l’aggiornamento della formazione, è opportuno prevederlo ogni cinque anni.
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Per legge, come approfondito in un precedente articolo, le attrezzature di sollevamento come carroponti e gru a bandiera, sono soggette a specifici adempimenti ed è richiesta un’apposita documentazione. I lavoratori addetti all’utilizzo del carroponte devono essere formati e addestrati all’uso sicuro di tale attrezzatura. Dai DPI alla scelta dei mezzi di imbracatura e degli accessori di sollevamento come ganci funi e catene. Dalle norme di comportamento alla segnaletica di sicurezza. Il datore di lavoro deve provvedere affinché, per ogni attrezzatura di lavoro a disposizione, i lavoratori addetti ricevano una formazione e un addestramento adeguati. In tal senso, seppur in modo impreciso, si parla spesso di “patentino carroponte” per indicare l’attestato di formazione e addestramento ottenuto dai lavoratori che hanno frequentato il corso carroponte.
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Materiali isolanti come schiume poliuretaniche, ma anche plastica, vernici e pitture. È lunga la lista dei prodotti che contengono diisocianati. Come pure quella degli ambiti in cui questi composti chimici trovano applicazione. Essendo alla base della produzione di oggetti e materiali in poliuretano, infatti, i diisocianati sono utilizzati in un’ampia gamma di settori. Ed è proprio per le aziende di tali settori che, con la pubblicazione della modifica del Regolamento REACH, dal 24 agosto 2023 scatta l’obbligo di formazione sui diisocianati.
Edilizia, automotive, ma anche industria della plastica: sono solo alcuni degli ambiti in cui i diisocianati vengono abitualmente utilizzati.
Si tratta di un ampio gruppo di composti chimici a cui, secondo la valutazione d'impatto della Commissione Europea, sarebbero esposti oltre 4 milioni di lavoratori. Numeri che impongono una riflessione. L’esposizione professionale ai diisocianati è, infatti, per gli esperti, tra le principali cause di sviluppo dell’asma in età lavorativa.
Il regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio¹ li classifica come sensibilizzanti delle vie respiratorie e della pelle di categoria 1. Una sensibilizzazione ritenuta particolarmente grave, finanche irreversibile e invalidante, specie nei processi di nebulizzazione, schiumatura o in applicazioni a caldo. In queste lavorazioni, le molecole di diisocianati possono diventare particolarmente volatili, rischiando dunque di essere inalate o assorbite dalla cute.
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Con la pubblicazione della modifica del Regolamento REACH², all'interno dell’allegato XVII è stata introdotta la Restrizione n.74 relativa all’uso e immissione sul mercato di prodotti a base di diisocianati.
Secondo quanto previsto dall’atto normativo, tutti i lavoratori che manipolano prodotti contenenti diisocianati in concentrazione superiore allo 0,1% in peso, sono tenuti a frequentare uno specifico corso di formazione. Ma non è tutto. Oltre all’obbligo di formazione sui diisocianati, con la modifica del regolamento, dal febbraio dello scorso anno, non è più possibile immettere sul mercato diisocianati intesi come costituenti di altre sostanze o in miscele per usi industriali e professionali. Questo a meno che:
Sull’imballaggio, inoltre, deve essere riportata la dicitura: “A partire dal 24 agosto 2023 l’uso industriale o professionale è consentito solo dopo aver ricevuto una formazione adeguata”.
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Quando si impiega un prodotto chimico, oltre a sapere se sia o no pericoloso, è indispensabile conoscere l’entità del rischio a cui espone e le cautele necessarie alla sua manipolazione. Ecco perché la formazione sui diisocianati è fondamentale.
Come anticipato, entro il 24 agosto 2023, i lavoratori dipendenti, così come quelli autonomi e quelli che, pur non direttamente, sono incaricati della supervisione di tali attività, sono tenuti all’obbligo di formazione sui diisocianati. Il datore di lavoro (e il lavoratore autonomo), dal canto suo, deve garantire che gli utilizzatori industriali o professionali abbiano completato con esito positivo il corso sull’uso di questi composti.
Si tratta di corsi formativi, erogabili anche online, che prevedono un modulo di formazione generale ed eventuali moduli intermedi ed avanzati per determinati utilizzi. Una specifica formazione, dunque, che deve essere tenuta da esperti in materia di salute e sicurezza sul lavoro e che va rinnovata almeno ogni cinque anni.
NOTE
¹ Regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio
² Regolamento (UE) 2020/1149 della Commissione
Torniamo ad occuparci di acido solfidrico. Come abbiamo ampiamente visto in un precedente articolo, questo gas, conosciuto anche come idrogeno solforato, è molto pericoloso in ambito professionale, in particolare nel settore della concia.
Si tratta, infatti, di un gas tossico e infiammabile. Sua caratteristica peculiare è il classico odore di uova marce che si verifica, però, solamente quando esso è presente a bassa concentrazione. Il vero problema nasce quando l’odore sparisce: è in questo preciso istante che il rischio si acuisce perché la concentrazione di acido solfidrico è aumentata. Per evitare situazioni potenzialmente drammatiche, bisogna prevenire. Il primo passo è fare un’attenta valutazione del rischio, oltre a seguire le regole di sicurezza e utilizzare i dispositivi di protezione personale più idonei.
L’acido solfidrico è una minaccia in vari ambiti industriali: dall’agricoltura alla metallurgia fino al settore alimentare. È, però, l’industria conciaria il comparto dove i rischi sono maggiori. Questo perché, all’interno di una conceria, sono diverse le fasi dove questo gas-killer può formarsi.
Per esempio, nei bottali durante la calcinazione, macerazione e piclaggio. Nella fase di calcinazione, la pelle grezza viene posta in un bottale con calce e solfuro di sodio per eliminare il pelo. Nella fase di piclaggio, precedente la concia, la pelle diventa più acida. Con l’acidificazione si liberano dei solfuri che sono rimasti dopo le fasi di calcinazione e macerazione. Si viene, quindi, a produrre una forte concentrazione di acido solfidrico. I bottali devono essere dotati di un idoneo impianto di aspirazione e abbattimento del gas.
Altra fattispecie da tenere sott’occhio è il contatto tra acque acide e basiche. Nelle canalette di scolo, dove fuoriesce l’acqua usata inizialmente per togliere il pelo dalla pelle, rimangono residui di solfuro. Nelle fasi successive della concia e della tintura, può capitare che vi sia un contatto tra l’acqua acida utilizzata nelle ultime fasi e i residui di solfuro e solfidrato. Questo contatto tra sostanze acide e basiche porta allo sviluppo di acido solfidrico.
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In conceria, ma non solo, particolare attenzione va posta per tutte quelle attività che si svolgono in spazi confinati e all’interno dei magazzini.
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La valutazione della presenza di acido solfidrico consta di diverse fasi. E ha una parola d’ordine: sinergia. Il nostro lavoro, infatti, unito allo sforzo del datore di lavoro nel valutare tutti i rischi possibili in azienda, è fondamentale per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Il primo passo che compiamo è il sopralluogo in azienda, in particolare nei luoghi dove l’acido solfidrico può svilupparsi. Essendo un nemico silenzioso e invisibile, utilizziamo uno specifico strumento per il rilevamento di questo gas. Il dispositivo viene tarato fino a 10 ppm, ovvero il limite a cui un operatore può essere esposto per un massimo di 8 ore al giorno senza rischi per la salute.
Si va poi a verificare se l’azienda è munita di dispositivi e strumenti obbligatori per prevenire il rischio. In primis, la presenza di un impianto di aspirazione e abbattimento gas e l’obbligo di utilizzo di dispositivi di protezione personale, con disposizioni e regole ben precise.
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Restando in conceria, per quanto riguarda la liberazione dell’acido solfidrico nei bottali durante le fasi di calcinazione, macerazione e piclaggio si ritiene che il mezzo di sicurezza più idoneo sia quello di aspirare e abbattere i gas che si formano nel bottale.
L’impianto di aspirazione costituisce il sistema principale di sicurezza per gli addetti alla lavorazione e, pertanto, deve essere provvisto di segnalazione e allarme. Al fine di garantirne il corretto funzionamento, deve essere mantenuto in efficienza tramite manutenzione programmata, da registrare in un apposito libretto. L’aspirazione serve principalmente a proteggere l’ambiente esterno. All’interno del bottale la concentrazione, pur ridotta di 20-30 volte, rimane sempre pericolosa, e pertanto ciascun operatore deve essere dotato di una maschera individuale con filtro specifico. È molto importante, poi, rispettare alcune macro regole durante le fasi di calcinazione, macerazione e piclaggio. Ovvero:
L’impianto deve essere controllato con cadenza giornaliera. Ogni 7 giorni bisogna, invece, eseguire la pulizia del condotto e ogni 3 mesi sottoporlo a controlli più approfonditi. Non è tutto. Ogni 6 mesi bisogna, ancora, controllare la portata nei singoli bottali e tutto l’impianto di aspirazione, annotando su un apposito registro le prove e gli eventuali interventi fatti.
Consulta la check list per il programma di controllo e manutenzione ordinaria per l’impianto di abbattimento Idrogeno
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, se si vuole sconfiggere l’acido solfidrico, il lavoratore deve sempre proteggersi indossando una maschera con filtro. In base alla tipologia di inquinante, i respiratori a filtro si dividono in:
Parlando di acido solfidrico, ci concentriamo sui filtri anti-gas. Questi sono costituiti da cartucce contenenti sostanze che trattengono i gas e i vapori nocivi. Nei filtri antigas non si può parlare di efficienza di filtrazione in quanto trattengono completamente l’inquinante fino all’esaurimento. La quantità di gas trattenuta dipende non solo dalla quantità e dal tipo del materiale adsorbente, ma anche dalla concentrazione ambientale dell’inquinante e dalla capacità respiratoria del soggetto che indossa la maschera, nonché dallo sforzo compiuto durante il lavoro.
Esistono 5 fasce di colori diversi per differenziare le varie tipologie di maschera anti-gas. Nello specifico, un lavoratore in conceria dovrà indossare una maschera con filtro antigas di tipo b di fascia grigia, in grado di proteggere da gas e vapori inorganici, come l’idrogeno solforato. L’efficienza filtrante di un dispositivo anti-gas è determinata, essendo l’efficienza del filtro del 100%, dal tipo di maschera e non dal filtro utilizzato. Quindi, se si vuole aumentare il livello di protezione del dispositivo bisogna utilizzare una maschera che ricopra tutta la faccia con filtri, garantendo una migliore tenuta al volto.
L’acido solfidrico è un gas asfissiante, molto pericoloso e in grado anche di uccidere. Ma non è invincibile. Come spiegano i colleghi di Pragma Chimica, nel caso fosse già presente, infatti, l’acido solfidrico può essere eliminato. Per esempio, tramite uno speciale trattamento ossidativo a effetto curativo. L’applicazione viene modulata in funzione del problema da risolvere, studiando l’uso dei prodotti chimici più idonei. Esistono anche altri sistemi per rimuovere l’acido solfidrico, tra cui la desolforazione biologica e l'adsorbimento (fisico, chimico o in schiume). Ma, come sempre, la prevenzione fa la differenza.
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Uno strumento per migliorare le performance delle aziende su tre aree rilevanti: qualità, impatto sull’ambiente, sicurezza sul lavoro. Così possiamo definire il sistema di gestione integrato che, attraverso tre certificazioni (ISO 9001, 14001 e 45001), permette alle imprese di fare un non indifferente salto di… qualità. Sebbene nascano come indipendenti, questi sistemi certificati, integrati tra loro, permettono di gestire al meglio i processi aziendali. Attraverso una formazione lunga 9 mesi, noi di e_labo abbiamo consegnato tutte e tre le certificazioni ISO all’azienda Degrocar di Arzignano (VI), distributore esclusivo dei carrelli elevatori Mitsubishi. Così facendo, Degrocar è diventata la nostra prima azienda certificata 9-14-45001. Una lavoro sinergico che merita, a nostro avviso, di essere raccontato. Ecco com’è andata.
«I primi passi che la nostra azienda ha fatto assieme a e_labo per ottenere un sistema di gestione integrato sono stati dedicati alla formazione» racconta la commerciale Degrocar Laura Dulmieri. «Ci sono state illustrate le varie certificazioni ISO e l’iter di ottenimento, approfondendo tutti i processi che la nostra azienda avrebbe dovuto compiere».
Fari puntati sui diversi indicatori di riferimento. «Ad esempio, per l’ambiente, essendo dotati di un impianto fotovoltaico, abbiamo dovuto controllare la quantità di energia prodotta e consumata – spiega Dulmieri –. Sempre a livello ambientale, sono state incrociate le prestazioni dei mezzi utilizzati e i consumi di gasolio, calcolando gli inquinanti emessi (C02, particolato fine, eccetera)». Accanto a questi fattori, che indicano quanto un’azienda impatti sull’ambiente, vi sono indicatori per la qualità e la sicurezza sul lavoro. «In questo senso, siamo riusciti a definire un percorso ben chiaro e scritto su tutti i processi che avvengono all’interno della nostra azienda, dal commerciale fino alla vendita e assistenza».
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Come abbiamo sottolineato in precedenza, un sistema di gestione integrato si ottiene grazie a tre certificazioni indipendenti tra loro ma strettamente connesse. Ma, nello specifico, cosa riguardano e quali vantaggi possono portare a un’azienda che decide di investirvi tempo ed energie?
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Sono molteplici i vantaggi derivanti dall’implementazione di un sistema di gestione integrato delle certificazioni ISO, su diversi fronti. Degrocar lo dimostra: «Abbiamo aumentato la nostra attenzione su aree fondamentali – conferma Dulmieri –, migliorando i processi della nostra azienda. Grazie a un unico elenco di documenti, riusciamo a formare meglio i nuovi dipendenti. Sul fronte ambientale, abbiamo ridotto il nostro impatto acquistando veicoli elettrici per i nostri rappresentanti commerciali. Inoltre, abbiamo concluso un ulteriore corso rivolto alla gestione dei rifiuti. Il nostro comportamento è più attento a tutti quei piccoli gesti che possono aiutare l’ambiente che ci circonda».
L’iter di ottenimento delle certificazioni è diventato anche occasione per accrescere la sensibilità verso la sicurezza dei lavoratori e per ripensarsi. Un esempio? «Il nostro capo officina ha un occhio di riguardo per la questione postura e sollevamento dei carichi dei colleghi. In questo senso, sono state acquistate nuove attrezzature che facilitano il lavoro e preservano la salute dei professionisti. Tutte queste procedure rendono più ordinata e produttiva la nostra attività».
Il nostro lavoro in Degrocar non finisce qui. L'azienda vicentina ci ha scelti, infatti, come suo RSPP. «Affidarsi a e_labo è stata una scelta vincente, siamo più che soddisfatti – conclude Dulmieri –. Ci sono controlli mensili per continuare il processo di sistema di gestione integrato e migliorarlo sempre di più: è una vera e propria assistenza costante».
L’evoluzione e la diffusione delle nuove tecnologie hanno apportato cambiamenti sensibili anche in ambito professionale. Di recente abbiamo, per esempio, parlato dell’apporto virtuoso dell’esoscheletro per lavoro. L’impatto è, però, anche in ambito formativo. Un esempio? L’e-learning si sta affermando sempre più e non solo a causa della pandemia di Covid-19. Questa modalità di insegnamento a distanza permette di seguire corsi specifici, in qualunque momento e da vari dispositivi, venendo incontro alle esigenze dei lavoratori. Non tutti i corsi di sicurezza obbligatori, però, possono essere fruiti in e-learning. Facciamo chiarezza.
Intanto una distinzione. Spesso vengono usati come sinonimi. In realtà, formazione online e formazione e-learning non sono la stessa cosa, pur prevedendo entrambe una connessione a Internet e un’erogazione/fruizione digitale dei contenuti.
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La formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro elearning è regolamentata dagli Accordi Stato Regioni del 21 Dicembre 2011 che definiscono la formazione di lavoratori, preposti, dirigenti e datori di lavoro RSPP. L’Accordo Stato Regioni del 7 luglio 2016 ha ampliato il pacchetto di corsi ammessi in modalità elearning. Nell’elenco figurano oggi:
La formazione specifica in elearning per le attività a basso rischio può essere erogata anche ai lavoratori di aziende classificate a rischio medio o alto. Ciò, però, a patto che non si operi, nemmeno saltuariamente, nei reparti produttivi. Per questi, infatti, i corsi di sicurezza elearning non sono consentiti. Lo stesso vale per quei corsi che prevedono parti pratiche, come il corso antincendio e quello per addetti al primo soccorso. Per la natura stessa della materia, la presenza qui è fondamentale.
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Per la formazione sulla sicurezza, dunque, sono possibili percorsi formativi molto diversi. Tutti, però, volti alla trasmissione di conoscenze, alla sensibilizzazione e allo sviluppo di competenze e comportamenti sicuri.
La formazione digitale non toglie nulla rispetto alla formazione in aula: non è, insomma, una formazione “minore”, né per valenza dei contenuti né per qualità della proposta. Anche perché i corsi di sicurezza elearning non s’improvvisano. L’ente di formazione, come nel nostro caso, deve essere:
Chi eroga formazione in e-learning è tenuto, inoltre, a un costante monitoraggio del processo Learning Management System (LMS) e a garantire la disponibilità di profili di competenza come il responsabile-coordinatore scientifico del corso. Il soggetto formatore, infine, è chiamato ad assicurare la disponibilità di un’interfaccia di comunicazione con l’utente: questo per garantire continue assistenza, interazione e accessibilità.
Scopri il nostro catalogo corsi in e-learning
(anche in inglese)
Non esiste sicurezza senza formazione, soprattutto quando si parla di lavoro. Prevenzione è la parola d’ordine. Il rischio d’infortuni sul lavoro non potrà mai essere portato allo zero. Tuttavia, una formazione continua e aggiornata consente di ridurre al minimo questo rischio. In tal senso, l’esperienza ci insegna che la cultura della prevenzione e, appunto, un’adeguata formazione fanno la differenza. A tal proposito, il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro afferma che il datore di lavoro deve assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza. I corsi obbligatori di sicurezza sul lavoro offrono ai dipendenti quelle conoscenze e abilità necessarie per prevenire incidenti e infortuni. Garantiscono, inoltre, che l’azienda rispetta le leggi sulla sicurezza sul lavoro. Insomma, mai come in questo caso, obbligo fa rima con opportunità.
I corsi obbligatori di sicurezza sul lavoro si dividono in due moduli. Il primo è più generico e dura 4 ore. Propone una formazione generale sulla normativa di riferimento, sui concetti di rischio, danno, prevenzione e protezione. Prevede anche approfondimenti sull’organizzazione della prevenzione aziendale e su diritti, doveri (e sanzioni) per i vari soggetti coinvolti.
Il secondo modulo è più specifico e la sua durata varia dalle 4 alle 12 ore. Questo in relazione al rischio dell’attività lavorativa (basso, medio, alto), basata sul codice ATECO¹, e sulla mansione del lavoratore. I due moduli sono fruibili in parte anche in modalità e-learning: in particolare, la formazione generale e quella specifica a rischio basso.
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La formazione generale e quella specifica costituiscono le fondamenta su cui poi va costruita la “casa della formazione”. Andranno, cioè, aggiunti i corsi specifici previsti da norme e accordi. È il caso, per esempio, della formazione obbligatoria per gli addetti ai lavori elettrici, per la gestione e preparazione del trasporto su strada di merci pericolose o, ancora, per chi opera in spazi confinati. Vediamo, a questo punto, quali sono i corsi sulla sicurezza obbligatori.
Come previsto dal D.Lgs 81/08, il datore di lavoro è tenuto a designare una o più figure che ricoprano il ruolo di addetti al primo soccorso. Il corso fornisce le competenze di base sulle modalità per l’attivazione del sistema di soccorso e l’attuazione delle manovre di primo soccorso. Si divide in 3 moduli, di durata e approfondimento differente in base al gruppo aziendale di appartenenza: Modulo A 16 ore, Modulo B e C 12 ore. Per tutti i livelli, l’aggiornamento deve essere fatto ogni 3 anni.
I corsi antincendio sono obbligatori per tutte quelle attività con almeno un dipendente o collaboratore. Il datore di lavoro deve designare uno o più lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze. I contenuti della formazione e la relativa durata dei corsi differiscono a seconda del livello di rischio: 4 ore per il livello 1 (rischio basso), 8 per il livello 2 (rischio medio), 16 per il livello 3 (rischio alto). Per tutti, l’aggiornamento è quinquennale, in attuazione del DM 2 settembre 2021.
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La sicurezza in azienda prende forma e viene garantita da apposite figure chiave. Due di queste sono il Responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP) e il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Anche loro, per la delicata natura del ruolo e per le importanti responsabilità, sono tenuti a una formazione obbligatoria.
Il Responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP) è colui che, attraverso le opportune conoscenze, garantisce la sicurezza sul luogo di lavoro. Questo incarico può essere ricoperto dal datore di lavoro o da una figura, interna o esterna, da lui nominata. Il corso di formazione obbligatorio ha una durata per il datore di lavoro tra le 16 e le 48 ore, in base al livello di rischio presente in azienda. Per una figura interna o esterna il corso RSPP si sviluppa nel modulo A-B-C che può essere superiore alle 100 ore. Va rinnovato ogni 5 anni.
Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) è la persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quel che concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro. Servono conoscenze specifiche per sviluppare e affinare quelle abilità diagnostiche decisionali e relazionali/comunicative necessarie per un’ottimale gestione del ruolo. Ecco spiegato perché il corso dura 32 ore e ha validità solo annuale.
Il RLS non vigila sull’applicazione delle misure di sicurezza: questo è, invece, il compito del Preposto, la cui formazione è resa obbligatoria dal decreto legge n. 146/2021 (decreto fiscale) coordinato con la legge di conversione n. 215/2021.
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La formazione obbligatoria dei lavoratori deve essere erogata in momenti specifici. Il primo è all’inizio del rapporto di lavoro. Il nuovo dipendente deve compiere la formazione base di sicurezza sul lavoro (generale+specifica) entro i 60 giorni successivi all’assunzione. Una nuova informazione, formazione e addestramento dovranno essere eseguiti in caso di cambio mansione o reparto. Va, inoltre, prevista una formazione qualora si registri l’arrivo di nuove macchine, nuove tecnologie o nuove sostanze pericolose. La formazione obbligatoria deve sempre avvenire nel corso dell’orario lavorativo. Compito del datore di lavoro è organizzare questi corsi e garantire la partecipazione dei dipendenti.
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L’articolo 55 del D.Lgs 81/08 stabilisce quali sono le sanzioni in caso di mancato rispetto della normativa in merito alla formazione dei lavoratori in tema di sicurezza.
Ancora, se al RLS non viene consentito di partecipare alla formazione obbligatoria, le sanzioni prevedono l’arresto da 2 a 4 mesi oppure ammenda variabile tra i 2.740 € e i 7mila euro.
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NOTE:
¹ Per saperne di più: Classificazione delle attività economiche ATECO
Come abbiamo visto in un precedente articolo, il DVR è il documento fondamentale per la valutazione rischi sul lavoro. Grazie a esso, infatti, il datore di lavoro può adottare tutte le misure necessarie per tutelare i propri dipendenti. Il documento di valutazione dei rischi ha la funzione di riportare in maniera dettagliata tutti i possibili rischi professionali a cui i lavoratori sono esposti durante la loro attività. Oltre al DVR, un altro documento di valutazione rischi di notevole importanza è il DUVRI, che viene redatto quando ci sono possibili rischi da interferenza. Prima di scoprire il DUVRI come modello di valutazione dei rischi, facciamo chiarezza su cosa si intende per rischi da interferenza e lavori in appalto.
Il prototipo dei rapporti che si creano tra più aziende per l’esecuzione di opere e servizi è rappresentato dall’appalto. Si tratta di un contratto con cui un richiedente affida a un impresario il compimento di un’opera. I requisiti per cui si verifichi l’appalto sono:
I rischi da interferenza nascono proprio da quest’ultimo punto. Si tratta di un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore. Questo si può verificare quando i lavoratori di due o più aziende diverse si trovano a svolgere mansioni differenti all’interno della medesima area. In questo caso si può creare un’interferenza dovuta al fatto che l’attività lavorativa di un’azienda può influenzare negativamente le condizioni di sicurezza degli operai dell’altra.
Per evitare che ciò avvenga, viene redatto il DUVRI, nel quale vengono riportati tutti i rischi correlati all’affidamento di appalti all’interno dell’azienda produttiva. La valutazione dei rischi da interferenza deve pervenire non solo ai lavoratori interni, ma anche a tutti gli utenti che possono essere presenti nel cantiere durante i lavori. Come precisa l’art. 26 del D.Lgs 81/2008, l’obbligo di redazione DUVRI spetta al committente dell’opera.
LEGGI ANCHE: DVR, DUVRI (e POS): che differenza c’è tra questi documenti?
Giacché stiamo parlando dei contratti d’appalto, riepiloghiamo i principali obblighi connessi al contratto d’appalto. Come indicato dal D.Lgs 81/2008, occorre:
Inoltre, i datori di lavoro devono cooperare per la prevenzione di rischi di incidenti, coordinando gli interventi di protezione per i lavoratori esposti. Devono anche informarsi reciprocamente per evitare rischi dovuti alle interferenze tra i dipendenti delle diverse imprese.
LEGGI ANCHE: I documenti fondamentali da avere in azienda: ecco la check list
Il Documento unico di valutazione dei rischi da interferenza (DUVRI) fornisce una visione esaustiva e sistematica per l’organizzazione e la gestione delle attività in appalto durante le attività di produzione. Si tratta di un riferimento prezioso per le ditte appaltatrici e, per questo, va costantemente aggiornato durante l’esecuzione delle attività. L’obiettivo che si pone questo documento è identificare puntualmente le possibili interferenze che si potrebbero venire a creare nell’esecuzione degli appalti, e i rischi derivanti connessi. Andando a definire le misure di prevenzione e protezione al fine di ridurre o eliminare le interferenze stesse.
La redazione del DUVRI deve rispecchiare le norme ai sensi del Decreto legislativo del 18 aprile 2016 n.50¹. Esistono dei casi in cui la redazione del DUVRI è obbligatoria. La Determinazione dell’autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di Lavori, Servizi e Forniture n.3 del 5 marzo 2008², infatti, ha asserito che la compilazione del documento unico di valutazione dei rischi va eseguita solo nei casi siano presenti delle interferenze. Nello specifico possiamo considerare rischi interferenti quelli che:
Non è, invece, obbligatorio redigere il DUVRI in caso di appalti di servizi di natura intellettuale, qualora vi sia mera fornitura di materiali o attrezzature. Come pure in caso di lavori o servizi di durata non superiore a 5 uomini giorno, a patto che essi non comportino rischi derivanti dal rischio d’incendio di livello elevato.
Per comprendere meglio il documento di valutazione dei rischi nei lavori in appalto, vediamo cosa succede nei cantieri edili. L’obbligo di redazione del DUVRI nel campo della cantieristica avviene quando si verificano tre condizioni:
Una volta verificate queste tre condizioni nel cantiere edile, il DUVRI riporterà solo un obbligo formale: dovrà essere allegato al contratto di appalto e mantenuto in continuo aggiornamento. Inoltre, il documento di valutazione dei rischi dovrà essere redatto prima dell’inizio dei lavori. Ciò in modo tale da scongiurare qualsiasi tipo di situazione che possa mettere in pericolo i lavoratori.
NOTE
Foto in evidenza: Freepik
¹ Decreto legislativo del 18 aprile 2016 n.50
A ben vedere, è come un puzzle. Tanti pezzi di varie forme da combinare correttamente per formare un’immagine: quella della prevenzione. In effetti, parlando di sicurezza sul lavoro, vi sono normative da conoscere, buone prassi da adottare, valutazioni da fare costantemente per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Una prerogativa imprescindibile per ogni azienda per ridurre il più possibile rischi e pericoli.
Nel corso degli anni abbiamo assistito a parecchie evoluzioni in ambito sicurezza sul lavoro. Le normative, a seconda delle esigenze emerse di volta in volta, si sono gradualmente perfezionate, arrivando fino al D.lgs del 9 aprile 2008, n° 81. Il Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro, con i suoi 306 articoli e più di 50 allegati, ha assorbito tutte le normative precedenti. Si tratta di un complesso di norme, redatte dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, volte a disciplinare la salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro. Tra le principali misure di controllo e gestione, al suo interno, troviamo:
Un insieme di misure che hanno come obiettivo la riduzione degli infortuni sul luogo di lavoro. Tali obblighi normativi coinvolgono le aziende di tutti i settori e si applicano a tutti i soggetti presenti in azienda.
LEGGI ANCHE: D.Lgs 81 aggiornato: tra novità e sanzioni aggiuntive
Una delle misure di sicurezza e prevenzione più importanti presenti nel Testo Unico, è rappresentata dalla valutazione dei rischi. Si tratta di uno tra gli adempimenti sulla sicurezza sul lavoro in grado di stimare i livelli di rischio per il lavoratore.
A riguardo, uno degli obblighi previsti dall’intervento legislativo è la redazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), di cui ci siamo occupati più volte. A seguito della verifica e del check-up dell’azienda, viene attuato un preciso piano di prevenzione e protezione che ha l’obiettivo di eliminare, o quantomeno ridurre, probabili situazioni pericolose. Il DVR è un documento obbligatorio per tutte le aziende che hanno almeno un dipendente o collaboratore, qualunque sia il settore di appartenenza. La responsabilità di redigere il DVR è assegnata al datore di lavoro. Quest’ultimo dovrà indicare i criteri adottati per stabilire le misure di protezione e prevenzione implementate. Si tratta di una particolare documentazione che deve essere redatta non appena si costituisce una nuova azienda. Inoltre, in caso di rilevanti modifiche all’organizzazione o al processo lavorativo, devono essere ripetute la valutazione dei rischi e l’aggiornamento del DVR.
LEGGI ANCHE: DVR: Come e quando valutare il rischio
Abbiamo detto che, quando parliamo di sicurezza sul lavoro, normative, adempimenti e buone prassi sono come i tasselli di un grande puzzle. La sicurezza sul lavoro è anche un grande gioco di squadra. Figure diverse, con responsabilità differenti, ma con un unico grande obiettivo: costruire (e mantenere nel tempo) la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.
La prima figura incaricata di garantire la sicurezza sul lavoro è ovviamente il datore di lavoro. Su di lui ricadono vari obblighi, tra cui la nomina delle principali figure per la sicurezza in azienda come il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e il medico competente. Non solo. Come stabilito dal D.Lgs 81/08 il datore di lavoro deve:
Inoltre, a seconda del ruolo e del grado di responsabilità, il datore di lavoro è tenuto a provvedere alla formazione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza.
LEGGI ANCHE: RSPP, RLS, Preposti: ruoli e responsabilità della sicurezza
In materia di sicurezza sul lavoro, le normative prevedono diversi adempimenti da portare a compimento entro termini ben precisi. Partendo proprio dai corsi di formazione. Questi ultimi, infatti, devono avere inizio preferibilmente prima dell’assunzione o, comunque, concludersi entro 60 giorni dal via dell’entrata in servizio.
Se il lavoro è materia viva e in costante evoluzione, così deve esserlo anche la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Ecco spiegato perché la formazione non è una tantum, ma è necessario frequentare specifici corsi di aggiornamento. Vediamo qualche esempio:
Più serrate, invece, le tempistiche per il RLS, chiamato a un aggiornamento annuale obbligatorio.
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Ridurre l’affaticamento muscolare, soprattutto a livello delle spalle e della schiena del lavoratore, aumentare la sicurezza, prevenire infortuni. È il contributo offerto dall’esoscheletro per lavoro. Non si tratta di un sogno futuristico o utopico: sono sempre più numerose le aziende in Italia che decidono di dotare i loro dipendenti di questo tipo di supporto, dalle grandi potenzialità. Attraverso il racconto del nostro Lorenzo Reniero, RSPP e Formatore di sicurezza, parliamo di un caso di studio e_labo in corso d’opera, con l’esoscheletro per lavoro che entra per la prima volta in un’azienda conciaria. In primis, però, vediamo che cos’è un esoscheletro, come funziona e quali benefici porta a livello professionale.
L’esoscheletro per lavoro è un dispositivo che può essere impiegato all’interno di ogni azienda per supportare i lavoratori che svolgono attività manuali. Progettati per supportare meccanicamente il corpo umano durante il sollevamento delle merci o per attività particolarmente gravose, gli esoscheletri riducono il carico nello sforzo fisico umano. In questo modo, limitano l’impatto di carichi pesanti e concorrono a evitare il rischio di danni a livello muscolo scheletrico. Nello specifico:
Per comprendere meglio differenze e peculiarità, ricorriamo a una metafora. Immaginiamo di pedalare prima su una bicicletta normale, poi su una bici elettrica, infine di guidare un motorino. Lavorare senza esoscheletro è come pedalare su un bici normale: la fatica è tutta di chi sta in sella. Utilizzare un esoscheletro passivo è come andare su una bici elettrica: si è facilitati, ma comunque va fatto un po’ di sforzo. Usare, invece, un esoscheletro attivo è come guidare un motorino.
Attualmente nel mondo ci sono una decina di aziende che producono l’esoscheletro per lavoro. Una di queste è Comau, che si appoggia per la distribuzione alla padovana AZeta Solutions, con la quale stiamo collaborando per un’applicazione in una conceria di Arzignano.
Uno degli scopi principali dell’esoscheletro per lavoro ruota intorno alla prevenzione delle malattie professionali. A livello europeo, secondo l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute per il lavoro, i disturbi muscolo scheletrici legati al lavoro (DMS) rappresentano il 60% di tutte le malattie professionali e possono essere colpiti i lavoratori di tutti i settori. In Italia, le denunce di malattia professionale protocollate dall’INAIL nei primi nove mesi dell’anno sono state 43.933¹, +8,6% rispetto allo stesso periodo del 2021. E le patologie del sistema osteo muscolare restano nella top 3 delle malattie professionali per incidenza.
In questo contesto, l’esoscheletro rappresenta un’opportunità, in più ambiti industriali, limitando i fattori di rischio da sovraccarico biomeccanico e diminuendo fino al 40% lo sforzo fisico degli operatori².
Leggi anche: Dms e movimentazione manuale dei carichi: novità con la UNI ISO 11228-1:2022
Come si diceva, l’esoscheletro per lavoro è già realtà. O, perlomeno, lo sta diventando, con molteplici esperienze sul campo. Una di queste ci vede protagonisti: per la prima volta l’esoscheletro entra in un’azienda conciaria. Accade nella nostra Arzignano, dove abbiamo fatto da intermediari tra l’azienda produttrice e la conceria.
Nel dettaglio, l’inserimento dell’esoscheletro serve per risolvere il peso delle pelli che vengono sollevate. Bagnate, possono arrivare a pesare fino a 20 o 30 Kg. Una condizione che, alla lunga, può causare seri problemi osteo articolari agli operatori. Anche perché il movimento viene eseguito continuativamente per 8 ore al giorno, ovviamente con le dovute pause previste dalla legge. In tale contesto, l’esoscheletro si sta dimostrando molto efficace. «Questo dispositivo è funzionale in base ai gradi di apertura del braccio che si ottengono quando esso si muove per sollevare le merci – spiega Reniero –. Tra 0° e 20° l’efficienza dell’esoscheletro è nulla, mentre diventa molto efficace tra i 90° e 135°».
Il modello di esoscheletro passivo per arti superiori, MATE-XT di Comau, che l’azienda conciaria sta utilizzando, va a defaticare del 30% gli arti superiori del lavoratore che svolge l’attività. Così il sollevamento delle pelli si fa più agevole. Tuttavia un rischio c’è, ovvero che l’esoscheletro venga inquadrato come uno strumento che diminuisca il peso della merce. È opportuno evidenziare che, attraverso l’esoscheletro, l’operatore risulta facilitato nell’operazione di sollevamento e percepirà meno la pesantezza delle pelli. Il carico, però, non cambia.
Quando si parla della possibilità d’integrare un esoscheletro per lavoro in azienda, si parte di norma da una proposta e si passa, poi, alla prova. Solo in un secondo momento ci sarà un noleggio dello strumento. In generale, quando siamo chiamati ad affrontare sperimentazioni di questo tipo, iniziamo con una valutazione del rischio.
Nel caso specifico, si valuta il rischio ergonomico attraverso un'analisi approfondita finalizzata anche all'individuazione di misure di prevenzione. «L’esoscheletro non è ovviamente l'unica soluzione – specifica Reniero –: come avviene in molti casi, sono una visione e un approccio d'insieme e la cooperazione di più elementi a far la differenza. Nel dettaglio, per le attività che prevedono un movimento ripetitivo si ricorre all’alternanza di turno e il cambio di postazione tra i dipendenti».
«Una volta che il cliente acquista o noleggia un esoscheletro, è necessario un piccolo addestramento, di circa un’ora, in modo tale da conoscere a fondo caratteristiche e funzionalità» conclude Reniero. Anche in questo caso, dunque, la formazione riveste un ruolo importante. Per prendere confidenza con questa tipologia di dispositivi, ma non solo. La rilevanza del tema è confermata dalla presenza della prevenzione dei disturbi muscolo scheletrici e dei movimenti ripetitivi tra gli argomenti del corso di formazione specifica per i lavoratori, obbligatorio per legge.
NOTE
Foto in evidenza: Esoscheletro passivo MATE-XT by Comau.com
¹ Per approfondire: Infortuni e malattie professionali, online gli open data Inail dei primi nove mesi del 2022
² Per saperne di più: Innovazione per la sicurezza, ecco i prototipi degli esoscheletri di Inail e IIT per i lavoratori e le lavoratrici del futuro
Il 31 dicembre 2022 segna il capolinea per tutte le schede di sicurezza (SDS) non conformi alle nuove regole europee sul rischio chimico. Come abbiamo visto in un precedente articolo, il 18 giugno 2020 è stato pubblicato il regolamento della Commissione Ue n.878/2020¹ che ha modificato l’allegato II al Reach. Composizioni e informazioni sugli ingredienti, proprietà fisiche e chimiche, informazioni tossicologiche e proprietà ecologiche: questi sono gli ambiti in cui da gennaio vi saranno delle modifiche per le SDS.
Iniziamo subito dando uno sguardo alle novità che interesseranno le SDS e alle coordinate temporali. Il regolamento europeo introduce:
Il nuovo regolamento è entrato in vigore il 16 luglio 2020. Dal gennaio 2021 si è iniziato ad applicarlo. Il 31 dicembre di quest’anno rappresenta il termine ultimo per poter fornire SDS non conformi alle nuove regole. Dopodiché, al termine del regime transitorio, s’incorrerà in sanzioni se le schede di sicurezza non saranno aggiornate.
LEGGI ANCHE: Nuovo servizio di consulenza REACH CLP e rischio chimico
Questa novità importante in materia di SDS ci dà modo di fare un veloce riepilogo, sempre prezioso, sul tema schede di sicurezza. In particolare, quali sono i criteri che definiscono l’obbligatorietà della fornitura di una SDS? A dare queste informazioni è il documento contenente gli orientamenti sulla compilazione delle schede dati di sicurezza² elaborati dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), con riferimento all’Allegato II del regolamento REACH. Nello specifico, è obbligatorio fornire una SDS quando una sostanza:
Il paragrafo 3 dell’articolo 31 del regolamento REACH specifica, inoltre, che la SDS deve essere fornita su richiesta qualora una miscela contenga almeno una sostanza che presenta rischi per la salute umana o per l’ambiente. Analogo discorso per sostanze cancerogene o tossiche e per le quali la normativa comunitaria fissi dei limiti di esposizione sul luogo di lavoro.
LEGGI ANCHE: Scenari di esposizione e valutazione del rischio chimico
L’aggiornamento continuo di una SDS non è un mero atto formale: si tratta di un passaggio molto importante. Esistono delle precise circostanze per cui le schede di dati di sicurezza devono essere aggiornate tempestivamente dai fornitori. Nel dettaglio:
LEGGI ANCHE: Schede di sicurezza (SDS): cosa, come, dove, quando e chi
Sono 16 le informazioni (punti) che una SDS deve contenere. La prima è l’identificazione della sostanza e della società che l’ha prodotta. Vi sono poi la classificazione del pericolo, la composizione e le informazioni sugli ingredienti della miscela. Vengono indicate pure le misure di pronto soccorso in caso ci sia un’esposizione accidentale alla sostanza chimica. Ancora, le misure da prendere qualora un incendio coinvolga quella determinata sostanza e/o vi sia una fuoriuscita o dispersione della miscela per ridurre gli effetti avversi. Sono riportate, inoltre, informazioni che riguardano, tra gli altri:
Oltre a questi punti, la SDS riporta anche considerazioni sullo smaltimento della sostanza, su come essa deve essere trasportata e sulla legislazione in materia di sicurezza, salute e ambiente.
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NOTE
¹ Per approfondire: Regolamento (UE) 2020/878 della Commissione
² ECHA, Orientamenti sulla compilazione delle schede dati di sicurezza
³ Scopri di più nella Candidate List aggiornata
La comunicazione è una componente fondamentale in qualsiasi realtà di successo. È un dato di fatto. Non contano, per una volta, il settore produttivo o la tipologia di beni o servizi offerti. L’efficacia di un buon processo di comunicazione, infatti, è essenziale per lo scambio d’informazioni tra i soggetti coinvolti nell’attività di ogni impresa, a tutti i livelli. Non fa eccezione l’ambito della salute e sicurezza sul lavoro. Considerando che ogni 15 secondi, nel mondo, 153 lavoratori s’infortunano sul lavoro¹, si può facilmente comprendere come prevenzione e formazione siano fondamentali. Tuttavia, soltanto attraverso un’efficace comunicazione nella sicurezza sul lavoro sarà possibile prendere coscienza dei rischi e programmare la prevenzione in azienda.
Perché la comunicazione della sicurezza sul lavoro funzioni, questa deve essere efficace. Così come tutti i processi necessari al buon funzionamento dell’impresa, anche quello di comunicazione ha bisogno di essere stabilito, messo in pratica e mantenuto nel tempo. Al bando, quindi, iniziative individuali e prive di direttive.
Il Decreto legislativo 81/2008 sottolinea la necessità di informare e formare i lavoratori sui rischi, ricordando che le informazioni devono essere comprensibili per i lavoratori. Senza la conoscenza dei protocolli da seguire o di specifiche informazioni sulla sicurezza, infatti, non sarà possibile avere le risorse per sapere cosa fare o per segnalare incidenti in tempo reale. È, dunque, fondamentale comunicare tutte le informazioni che consentono di lavorare in piena sicurezza. Per farlo, sono importanti le modalità e i canali utilizzati per trasmettere le informazioni in modo chiaro e comprensibile.
LEGGI ANCHE: Manutenzione in azienda: strumenti per la sicurezza sul lavoro
Si tratta di concetti di cui la UNI ISO 45001:2018 rimarca l’importanza. La norma internazionale specifica i requisiti per il sistema di gestione per la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (SSL). Il fine è quello di consentire alle organizzazioni di predisporre luoghi di lavoro sicuri e salubri, migliorando proattivamente le prestazioni della SSL. Tra i fattori indispensabili per l’organizzazione, al punto 7.4 la norma inserisce proprio la comunicazione. In particolare, è responsabilità dell’organizzazione stabilire:
Un’efficace comunicazione nella sicurezza sul lavoro deve nascere da un’interazione reciproca. Momenti di dibattito, dialogo e scambi di informazioni tra datori di lavoro, dipendenti e rappresentanti dei lavoratori, dunque, devono essere necessariamente previsti per sviluppare un corretto approccio nella gestione della sicurezza.
Assieme a formazione e informazione, la comunicazione è uno strumento di gestione fondamentale per incentivare comportamenti sicuri nei luoghi di lavoro. Per far ciò, è necessario che i principi alla base di una comunicazione efficace debbano essere rispettati. Partendo dal coinvolgimento attivo di personale e dipendenti. Per i datori di lavoro una partecipazione condivisa significa ricevere aiuto nell’individuazione dei problemi e nella ricerca delle soluzioni. Dal canto loro, i lavoratori hanno un ruolo non secondario nella comunicazione della sicurezza sul lavoro: la prevenzione di possibili infortuni passa anche da loro.
È un concetto supportato da uno studio dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, in cui è stato dimostrato che gli interventi di salute e sicurezza che coinvolgono da vicino i lavoratori sono più redditizi². Tuttavia, per promuovere una cultura della sicurezza, è necessaria una comunicazione bidirezionale. Dipendenti, datori di lavoro e rappresentanti dei lavoratori devono:
La piena partecipazione, inoltre, non si limita alla consultazione, ma prevede che lavoratori e rappresentanti siano coinvolti nei processi decisionali dell’azienda. Allo stesso modo, tra le attività da fare in ambito sicurezza, c’è quella di comunicare in modo efficace il rischio. Per evitare situazioni in cui in azienda ci siano problemi nel recepire correttamente una comunicazione, è importante tarare il messaggio in funzione del proprio interlocutore.
LEGGI ANCHE: Metodo BBS: la sicurezza che parte dai comportamenti
Abbiamo detto che i datori di lavoro devono promuovere una cultura della sicurezza che incentivi la partecipazione e la comunicazione dei dipendenti. Allo stesso tempo, però, i datori di lavoro sono tenuti a considerare i propri lavoratori parte integrante del sistema aziendale. Saranno, quindi, tenuti a garantire una formazione adeguata a dirigenti, supervisori e rappresentanti dei lavoratori. Durante la consultazione, inoltre, si dovranno stabilire accordi volti a incoraggiare la partecipazione di lavoratori e rappresentanti alle decisioni in ambito sicurezza. Infine, affinché la comunicazione nella sicurezza sul lavoro si svolga al meglio, è necessario incoraggiare il dialogo aperto tra le parti. Concedendo a tutti la possibilità di basarsi su accordi che permettano la loro piena partecipazione.
NOTE
¹ Fonte: Organizzazione internazionale del lavoro
Totalmente o parzialmente chiuso, non adatto alla permanenza di persone, ma occupabile temporaneamente per interventi lavorativi particolari. È la definizione di spazio confinato. In un precedente articolo abbiamo analizzato i principali rischi del lavoro in spazi confinati e cosa dice la legislazione in merito. Torniamo sull’argomento, allargando lo sguardo. Analizziamo, nel dettaglio, quanto sia importante censire gli spazi confinati, valutare i rischi, le misure di prevenzione e le soluzioni d’emergenza da adottare. Del resto, gli ambienti confinati sono, per loro stessa natura, luoghi di lavoro che presentano molteplici potenziali fattori di rischio. Sapere cosa fare e cosa no può, insomma, aiutare a prevenire gravi infortuni.
Il lavoro in spazi confinati è regolamentato dal D.lgs. n. 81/2008, ovvero il Testo Unico sulla Sicurezza e il DPR n.171/2011¹. In particolare, gli articoli 17 e 28 del TUS impongono ai datori di lavoro di fare una precisa valutazione di tutti rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, redigendo il DVR, il documento di valutazione del rischio.
Effettuare una valutazione specifica per gli spazi confinati è un punto di partenza di fondamentale importanza. Il processo di valutazione dei rischi comprende una serie di passaggi che devono essere seguiti. Nello specifico:
Ultima, ma non per importanza, c'è la compilazione di schede specifiche per ogni spazio confinato. In esse sono indicate tutte le misure e le persone che possono lavorare al loro interno.
Per eseguire un censimento completo degli spazi confinati presenti in un luogo di lavoro devono essere svolte le seguenti attività.
Viene poi posizionata una segnaletica specifica per gli spazi confinati che individui i fattori di rischio, limitando l’accesso alle sole persone autorizzate. Si redige, inoltre, una planimetria in cui siano indicati gli ambienti confinati presenti in azienda.
Per effettuare un censimento è possibile utilizzare alcune specifiche checklist che devono essere compilate dal consulente esperto che segue il processo di valutazione dei rischi. In questi documenti devono essere indicati il nome e la localizzazione dello spazio. Inoltre, bisogna verificare che il luogo preso in considerazione rispetti le caratteristiche indicate dalle OSHA 1910.146², affinché possa essere considerato uno spazio confinato. Si deve segnalare la presenza di pericoli e le attività che si svolgono al suo interno, specificando la descrizione del lavoro in spazi confinati, la frequenza, la durata e chi lo svolge.
Abbiamo visto che, come prima cosa, il datore di lavoro deve valutare se sia possibile o meno far entrare i dipendenti in spazi confinati. Talvolta può succedere che, attraverso un’attenta pianificazione, si riesca ad evitare la necessità di svolgere mansioni all’interno di spazi confinati.
Il lavoro in spazi confinati implica l’identificazione dei pericoli presenti, la valutazione dei rischi e l’individuazione, quindi, di misure precauzionali. Per una corretta valutazione, si dovranno prendere in considerazione il tipo di attività e di ambiente di lavoro, i materiali e le attrezzature usati, l’idoneità degli addetti e le soluzioni da adottare per interventi d’emergenza. Nel caso in cui non sia possibile evitare l’ingresso nello spazio confinato è opportuno assicurarsi di disporre di adeguate procedure operative. Occorre, poi, prevedere adeguate soluzioni d’emergenza, prima dell’inizio dei lavori. Inoltre, bisogna:
Tra le altre azioni da mettere in atto, la formazione si ritaglia un ruolo di primo piano. I corsi specifici fornisco le informazioni di base necessarie per affrontare i pericoli derivanti dall’ingresso in locali confinati.
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Perché fare tutto ciò? Per garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori. Anche perché, in caso di incidente, i lavoratori all’interno di uno spazio confinato sono esposti a un serio e immediato pericolo. In questo senso, stabilire misure efficaci per la segnalazione dell’emergenza e per lo svolgimento delle operazioni di soccorso, è decisivo. Le misure di emergenza variano a seconda del rischio. In linea generale bisogna:
Ovviamente, purtroppo, non esiste il rischio zero quando si parla di lavoro in spazi confinati. È più opportuno parlare di rischio residuo. Si tratta di quel margine di pericolo che resiste dopo aver messo in campo tutte le misure e le procedure organizzative. Con una postilla non proprio irrilevante: la cultura della prevenzione e un’adeguata formazione possono fare la differenza.
NOTE
¹ Per approfondire: Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati
² Occupational Safety and Health Administration, 1910.146 - Permit-required confined spaces
Torniamo a occuparci di OT23. Si tratta, come noto, di un’agevolazione che premia chi mette in atto interventi migliorativi delle condizioni di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro. Oltre, naturalmente a quelli già previsti dalla normativa vigente. Parliamo, nello specifico, del nuovo Modello OT23 per la riduzione del tasso medio di tariffa per prevenzione per il 2023. Lo scorso agosto, infatti, l’Inail ha pubblicato il nuovo modello OT23 2023¹. Gli interventi previsti sono sostanzialmente quelli già previsti dal modello per il 2022. Tuttavia, qualche novità c’è: andiamo allora a scoprirle.
Ogni azienda è tenuta a versare all’Inail un premio assicurativo annuale in favore dei propri dipendenti contro gli infortuni e le malattie professionali. Si tratta di un premio calcolato considerando il livello di rischio dei lavoratori all’interno dell’organizzazione. Tuttavia, la normativa riconosce un sistema di agevolazioni finalizzate a ridurre le somme dovute all’Istituto.
Ogni anno, dai primi di agosto, è disponibile il modello di domanda per la riduzione del tasso medio di tariffa per la prevenzione. Grazie a quanto previsto dall’art. 23 delle modalità per l’applicazione delle tariffe dei premi, le aziende possono risparmiare sul proprio premio assicurativo. Un vantaggio riservato, però, solo alle imprese che avranno dimostrato di aver intrapreso gli interventi di miglioramento previsti dal mod. OT23. Nel dettaglio, gli incentivi consentono una riduzione del tasso medio di tariffa dal 10% al 28%, a seconda che le imprese abbiamo più di 50 o meno di 10 dipendenti.
Si tratta, dunque, di agevolazioni degne di nota. Specie in un periodo, come quello attuale, in cui le aziende devono fare i conti con il caro energia. Non c’è, tuttavia, solo la sfera economica, comunque importante. Il ROP (return on prevention), ovvero il ritorno dell’investire in sicurezza e prevenzione da malattie e infortuni è pari a 2.2. Ovvero, ogni euro speso in SSL genera un valore più che doppio. Ne parlavamo in questo nostro articolo del 2018, recentemente ripreso da Econopoly, blog del Sole 24 Ore².
L’opportunità, insomma, c’è per le aziende. Naturalmente, a patto che vengano osservate tutte le disposizioni obbligatorie in materia di prevenzione e salute sul lavoro. Sostanzialmente, gli interventi previsti dall’OT23 sono quelli già presenti negli anni precedenti. A eccezione, come anticipato, di alcune importanti novità. Partendo dalla prevenzione degli infortuni mortali, il cui punteggio agli interventi A-1.2 e A-1.4 è passato da 50 a 70 punti. Una decisione che, data la crescita degli incidenti mortali degli ultimi anni, sottolinea la volontà dell’Inail di incentivare maggiormente tali interventi. I cambiamenti interessano anche la riformulazione dell’intervento B1 della sezione prevenzione del rischio stradale. Per i veicoli con massa superiore a 35 quintali destinati al trasporto di merci e quelli destinati al trasporto di più di nove persone, infatti, la prova pratica potrà essere effettuata anche con simulatori di guida.
LEGGI ANCHE: Da OT24 a OT23: ecco cosa cambia
Rispetto il modello OT23 dello scorso anno, per il 2023 viene inserito anche l’intervento E-19. L’azienda interessata, infatti, deve aver adottato un modello organizzativo e gestionale di cui all’art. 30 del D.lgs. 81/08, definito in conformità alla norma UNI 11857-1. Le novità non terminano qui. La riduzione del tasso medio di tariffa prevede, inoltre:
Infine, il modello Inail OT23 prevede la riformulazione dell’intervento F2, previsto per aziende per le quali non è obbligatoria l’adozione di un defibrillatore.
Ricordiamo che, ai fini della concessione dei benefici per le aziende meritevoli, l’Inail articola gli interventi nelle sezioni:
A ogni intervento è attribuito un punteggio. Per poter accedere alla riduzione del tasso medio di tariffa, quindi, è necessario aver effettuato interventi tali per cui la somma dei loro punteggi sia almeno 100.
LEGGI ANCHE: OT23 2021: un SGSL per ottenere l’incentivo Inail
L’OT23 rappresenta, dunque, un premio, un’opportunità, un investimento strategico. Del resto ce n’è bisogno: in fatto di SSL bisogna lavorare a livello culturale ma anche a livello strutturale e questi incentivi danno il loro contributo. Come fare, dunque, per poter usufruire di tali agevolazioni? Per accedere alla riduzione, l’azienda deve presentare l’apposita domanda e la documentazione richiesta dall’Inail³, esclusivamente online entro il 28 febbraio 2023. La domanda può essere presentata a prescindere dall’anzianità dell’attività. A patto, però, che gli interventi migliorativi siano stati realizzati nell’anno precedente quello di presentazione della domanda.
NOTE
¹ Per approfondire: Modello di domanda per la riduzione del tasso medio per prevenzione per l’anno 2023 (OT23)
² Scopri di più: Salute e sicurezza sul lavoro: ogni euro investito ne genera due
³ Domanda per la riduzione del tasso medio per prevenzione, guida alla compilazione - anno 2023
In estate fa caldo. E, fin qui, nulla di eccezionale. L’estate 2022, tuttavia, si sta rivelando una delle più calde (e siccitose) di sempre, alimentando il dibattito sui cambiamenti climatici. Non è questa la sede per ragionare sul tema, che, però, pone delle questioni a livello di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Perché aumentano i rischi relativi allo stress termico, specie per alcune professioni. Non è, insomma, un dibattito sterile: si tratta di trovare soluzioni e accorgimenti per la sicurezza dei lavoratori. In questo articolo scopriamo di più sul microclima nell’ambiente di lavoro.
Temperature eccessive nei luoghi di lavoro rappresentano un fattore di rischio da non sottovalutare. L'uomo, infatti, come tutti i mammiferi, è omeotermo. Riesce, cioè a termoregolarsi, mantenendo costante la propria temperatura corporea, di norma tra 35,8°C e 37,2°C. Questo intervallo garantisce condizioni di salute e benessere dell’individuo. Quando il corpo, con il minimo impegno dei meccanismi di termoregolazione, non prova sensazione di freddo o di caldo, si trova in uno stato di “benessere termico”. Perché parliamo di questo? Perché ne consegue che il microclima nell’ambiente di lavoro assuma un ruolo importante. Con microclima ci riferiamo a un concetto che include parametri ambientali come:
Questi parametri condizionano lo scambio termico tra individuo e ambiente, influendo in modo significativo sulla qualità degli ambienti di lavoro e, quindi, sul benessere delle persone. La percezione della condizione microclimatica è influenzata, però, anche da parametri individuali. Tra questi: l’attività metabolica dell’organismo e la tipologia di abbigliamento indossato, oltre ovviamente alla tipologia di mansione svolta.
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La valutazione del microclima, dunque, è alla base di un ambiente di lavoro sano. Tuttavia, in base alle condizioni microclimatiche, gli ambienti si possono distinguere in ambienti moderati e severi. Nei primi è possibile raggiungere condizioni di comfort anche grazie all’utilizzo di impianti di condizionamento. Nei secondi, invece, a causa delle necessità produttive o delle specifiche condizioni ambientali, ciò non è possibile. E l’aumento della temperatura media e dell’intensità delle ondate di calore possono determinare un aumento del rischio di infortuni sul lavoro. Come rilevano gli esperti, l’esposizione prolungata al caldo è in grado di causare una perdita di attenzione e una minore capacità di reagire agli eventi imprevisti. Non solo. Esistono, infatti, condizioni cliniche correlate all’esposizione a elevate temperature. Tra queste troviamo:
Se lo stress termico non è trattato tempestivamente, si può andare incontro a colpo di calore. Una condizione che può comportare aritmie cardiache e l’innalzamento della temperatura corporea oltre i 40°.
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Un’errata gestione del microclima nell’ambiente di lavoro rischia, dunque, di creare criticità non da poco per la salute dei lavoratori. Per aiutare le aziende e i professionisti, INAIL e ministero della Salute hanno realizzato delle linee guida dedicate¹. Un pratico vademecum per capire cosa fare e cosa no, agendo anche e soprattutto sulla prevenzione. Nella consapevolezza che ciascuno deve fare la sua parte. Per prevenire situazioni di stress termico, il datore di lavoro deve identificare misure preventive e protettive utili a ridurre eventuali danni. Tra queste:
Allo stesso modo, dove possibile, il datore è tenuto a mettere a disposizione luoghi climatizzati in cui i dipendenti possono trascorrere le pause dal lavoro.
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Abbiamo visto che, per raggiungere una condizione di benessere, si passa dalla corretta gestione del microclima nell’ambiente di lavoro. Difendersi dalle alte temperature è, dunque, fondamentale per prevenire rischi correlati al caldo. Specie d’estate. Tutto ciò, però, non basta. Infatti, se l’attenzione nei confronti di tale problema è alta, spesso si trascura il rischio legato all’esposizione ai raggi UV di chi lavora all’aria aperta. Vari studi scientifici evidenziano che tali radiazioni rappresentano il fattore di rischio più importante per l’insorgenza dei tumori alla pelle. In particolare, l’esposizione alla radiazione solare ultravioletta è classificata dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro come cancerogeno di gruppo 1 associato con il più elevato livello di causalità per carcinoma cutaneo. In Italia si stima che circa 700.000 lavoratori siano esposti al rischio cancerogeno da radiazioni. Gli ambiti sono molteplici: dall’agricoltura all’edilizia, dalla manutenzione strade all’attività estrattiva. In questo caso, gli esperti raccomandano, tra l’altro, di mantenere una corretta e costante idratazione, di indossare abiti leggeri e un copricapo. È consigliabile, inoltre, quando possibile, lavorare nelle zone meno esposte al sole, ridurre il ritmo di lavoro, anche attraverso l’utilizzo di ausili meccanici, e fare interruzioni regolari in luoghi freschi.
NOTE
¹ Per approfondire: Estate sicura – Caldo e lavoro. Guida breve per i lavoratori
DVR, DUVRI, POS. La gestione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, si sa, prevede la redazione di un gran numero di documenti. Tra questi, DUVRI e DVR rivestono una notevole importanza. La “matrice” è comune: entrambi, infatti, afferiscono alla valutazione dei rischi. Tuttavia, le differenze sono marcate. E al dibattito si aggiunge anche il POS. Da non intendere qui come il terminale di pagamento elettronico di recente diventato obbligatorio per commercianti e lavoratori che offrono servizi. Parliamo, piuttosto, del Piano operativo di sicurezza. Come questo si integra con gli altri due? Facciamo chiarezza.
Andiamo con ordine. Nella nostra analisi su DVR, DUVRI e POS partiamo dal DVR, acronimo di Documento di valutazione dei rischi. Ne abbiamo già parlato a più riprese. Del resto, la sua corretta redazione è una delle azioni fondamentali in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Sintetizzando, il DVR serve a individuare e a valutare tutti i potenziali rischi presenti in azienda che possono minacciare la sicurezza dei lavoratori.
In base a quanto stabilito dal Testo Unico sulla Sicurezza, il DVR deve prendere in considerazione ogni tipologia di rischio in cui i lavoratori di un’azienda possono incorrere. Viene redatto dal datore di lavoro: a firmarlo, con il DL, sono il medico competente, l’RSPP e l’RLS aziendali. Al suo interno, il Documento di valutazione dei rischi deve contenere tutte le informazioni relative all’azienda, alla valutazione dei rischi e soprattutto alle misure adottate per ridurli. Tutte le aziende con almeno 1 dipendente devono elaborare un DVR: le uniche eccezioni riguardano le imprese familiari¹ e i liberi professionisti.
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DUVRI sta, invece, per Documento unico di valutazione dei rischi da interferenze. Si tratta, anche in questo caso, di un documento obbligatorio, disciplinato dall’articolo 26 del D.Lgs 81/2008. Il fascicolo è finalizzato alla raccolta delle misure da adottare per evitare o ridurre, per l’appunto, i rischi da interferenze. Parliamo di tutti quei rischi per la salute dei lavoratori derivanti dall'intervento di una ditta esterna. Messi a confronto, DVR e DUVRI già qui differiscono. Il DUVRI non riguarda direttamente i rischi legati all'attività dell’impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo. Favorisce una virtuosa sinergia, piuttosto, in merito all’attuazione delle misure di sicurezza quando più aziende operano all’interno di una medesima area di lavoro. L’obbligo di redigere il DUVRI² nasce quando il datore di lavoro affida a un’impresa in appalto una o più attività all'interno del proprio luogo di lavoro³. È obbligatorio se, sommando tutti gli interventi che si faranno nell’anno, si superano i 5 uomini/giorno. Questo a meno che i lavori e i servizi in questione non comportino rischi derivanti da:
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Sintetizzando, potremmo dire che la differenza fondamentale tra DVR e DUVRI sta nella presenza o meno di una ditta esterna. Il primo è il caposaldo della sicurezza in azienda, il secondo è il faro (o uno dei fari) della sicurezza degli appalti. Uno riguarda un’azienda specifica, l’altro un’attività particolare. I due documenti presentano delle analogie: l’onere della redazione spetta, per esempio, al datore di lavoro, dell’azienda committente nel caso del DUVRI. Le principali differenze sono legate a tipologia dei rischi e modalità di aggiornamento. Nel dettaglio:
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Abbiamo visto fin qui analogie e differenze DUVRI e DVR. E il POS? Si tratta del Piano operativo di sicurezza. Regolato sempre dal D.Lgs 81/2008, va redatto prima d’iniziare le attività operative in un cantiere temporaneo o mobile. La compilazione spetta al datore di lavoro dell’impresa esecutrice e fa riferimento al singolo cantiere interessato. Anche il POS, dunque, come DVR e DUVRI, opera nell’ambito della valutazione dei rischi cui sono sottoposti i lavoratori. Tuttavia, questo documento fa riferimento solo al singolo cantiere interessato dalle attività operative. Oltre ai dati identificativi dell’impresa esecutrice, deve contenere le specifiche mansioni inerenti la sicurezza svolte nel cantiere da ogni figura nominata allo scopo dalla stessa impresa. Insomma, parlando di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, potremmo dire: a ciascuno il suo (documento).
NOTE
¹ Per “impresa familiare” s’intende un’attività economica cui collaborano, in modo continuativo, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo. Come chiarito dal ministero del Lavoro, il DVR è obbligatorio solo nel caso in cui le parti (i familiari) abbiano dato vita a un diverso qualificato rapporto (società di fatto, rapporto di lavoro subordinato, etc.).
² È compito e obbligo del datore di lavoro dell’azienda committente dell’appalto redigere il DUVRI. Il Documento va allegato al contratto d’appalto o al contratto d’opera, di cui costituisce parte integrante.
³ La compilazione del DUVRI non è contemplata per servizi in appalto di natura intellettuale o per mere forniture di materiali o attrezzature.
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Per un’azienda attenta alla tutela della sicurezza sul lavoro, le procedure Loto possono essere… un fiore all’occhiello. Giochi di parole a parte, il lockout tagout riveste grande rilevanza in ambito industriale. Interviene, infatti, nelle fasi di manutenzione, laddove rappresenta un efficace strumento per innalzare il livello di sicurezza. Scopriamo insieme come e perché.
La manutenzione, si sa, gioca un ruolo fondamentale per preservare apparecchiature e impianti industriali durante il loro ciclo di vita. Lo scopo è quello di consentire ai macchinari di eseguire al meglio le funzioni richieste e per cui sono stati progettati. La fase di manutenzione degli impianti, tuttavia, espone a un rischio elevato di infortuni di vario tipo. Una delle cause più frequenti di incidenti è la riattivazione imprevista di fonti di energia. Proprio partendo da questo assunto, la procedura di lockout tagout garantisce che gli impianti più pericolosi rimangano correttamente inattivi durante la manutenzione. Uno strumento di controllo, dunque, capace di impedire l’avvio dei sistemi mentre è in corso un intervento.
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Perché parliamo di questo argomento proprio ora? Perché la chiusura estiva è, per molte aziende, occasione di mettere in atto attività manutentive che spesso non è possibile svolgere durante l’anno.
Affinché il tutto si possa svolgere in piena sicurezza per gli operatori, è fondamentale implementare sistemi ad hoc, come, appunto il, lockout tagout. Si tratta di una procedura che, come anticipato, consente di proteggere i lavoratori dalle sorgenti di energia pericolose durante le operazioni di manutenzione (ordinaria e straordinaria) e, in generale, di “service”. Per comprendere al meglio il procedimento di lock out tag out è necessario partire dal significato della parola. Lockout vuol dire letteralmente “bloccare l’accesso”. Consiste, di fatto, nel posizionamento di uno o più lucchetti in corrispondenza della posizione off di un dispositivo di isolamento di una qualsiasi fonte energetica. Con tagout, invece, ci si riferisce al posizionamento di un cartello segnalatore riportante il nominativo dell’operatore autorizzato in corrispondenza del lucchetto.
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Già da qui si percepisce il valore aggiunto dato dall’implementazione di queste procedure in nel contesto aziendale. Consente, infatti, di:
A livello normativo, è la direttiva macchine 2006/42/CE a richiedere che tutte le fonti di alimentazione di energia di cui è dotata una macchina siano isolabili¹. Questo in modo da poter eseguire interventi in condizioni di sicurezza. Ricordiamo che, per legge, il datore di lavoro deve garantire la sicurezza e la salute di tutti i suoi lavoratori, compresi gli addetti alla manutenzione. Sul fronte degli obblighi del datore di lavoro, il Testo Unico sulla Sicurezza chiarisce, tra l’altro, che egli deve agire in modo che gli impianti e i dispositivi siano sottoposti a regolare manutenzione tecnica. Deve, inoltre, fare un’accurata valutazione del rischio, compilando il DVR.
In linea generale, il lockout tagout richiede che l’isolamento e la messa in sicurezza di una macchina o di un impianto avvengano secondo una sequenza preordinata. Si tratta di una serie di passaggi che consente di preparare la macchina stessa all’applicazione dei dispositivi di isolamento e di lucchettaggio. Nel dettaglio, la procedura lock out tag out consiste nel:
Arrivati a questo punto è possibile procedere alla manutenzione dell’impianto, il tutto in massima sicurezza. Le procedure Loto, infatti, sono una metodologia chiara ed efficace per salvaguardare ragionevolmente gli operatori dal rischio di incidenti durante le operazioni di manutenzione. C’è un altro vantaggio, non da poco. Il lock out tag out è un valido aiuto nel promuovere la cultura della sicurezza in ambito aziendale, a tutti i livelli. Un aspetto, questo, che non può mai andare in vacanza.
NOTE
¹ Gli altri riferimenti normativi sono: ANSI/ASSE Z244.1 - 2016 The Control of Hazardous Energy Lockout, Tagout and Alternative Methods; OSHA 29 CFR 1910.147 The control of hazardous energy (lockout/tagout); CEI 11-27:2014 – Lavori su impianti elettrici; EN 60204-1:2006 Sicurezza del macchinario - Equipaggiamento elettrico delle macchine.
Nel nostro lavoro, uno degli acronimi da monitorare con attenzione è Dms: disturbi muscolo scheletrici. Sono, infatti, diffusi in ambito professionale, come approfondiamo più avanti, e costituiscono una delle principali cause di assenza per malattia in molti settori. L’argomento torna di grande attualità dopo l’entrata in vigore, lo scorso marzo, della nuova versione dell’UNI ISO 11228-1:2022. La normativa, infatti, riguarda l’analisi del rischio da sollevamento e trasporto in ambito movimentazione manuale dei carichi. C’è un altro acronimo sul piatto, dunque, da considerare: Mmc. Del resto, operazioni di sollevamento, trascinamento, spinta o spostamento di pesi interessano da vicino numerosi comparti produttivi. E si tratta di azioni che generano buona parte dei Dms. Da questo punto di vista, cosa cambia con la nuova legge? Scopriamolo insieme.
Come noto, alla questione Dms e movimentazione manuale dei carichi il Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro dedica un Titolo apposito, il Titolo VI. Si sottolinea che il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte misure necessarie di prevenzione. Vengono, inoltre, indicate alcune norme tecniche come criteri di riferimento.
La nuova UNI ISO 11228-1:2022 va a intervenire sull’allegato XXXIII del D.Lgs. 81/2008. Questo richiama espressamente la norma tecnica come “criterio di riferimento” per il datore di lavoro. In particolare, vengono stabiliti i limiti raccomandati per le attività di sollevamento e trasporto di carichi. Non tratta, invece, le attività di traino e spinta, per cui si continua ad applicare la UNI ISO 11228-2, e quelle di sovraccarico degli arti superiori, che è materia della UNI ISO 11228-3.
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Nello specifico, la nuova disciplina in tema di movimentazione manuale dei carichi fornisce dei limiti raccomandati circa il sollevamento, l’abbassamento e il trasporto manuale. Ciò tenendo conto di intensità, frequenza e durata del compito. La norma si riferisce alla movimentazione manuale di oggetti con massa di 3 o più kg. Questi devono procedere a una velocità di cammino compresa tra 0,5 m/s e 1,0 m/s, lungo una superficie orizzontale. Il documento fa riferimento a una giornata lavorativa di 8 ore, considerando però anche i tempi di lavoro fino a 12 ore.
Entrando nel dettaglio della nuova UNI ISO 11228-1:2022, per le azioni che comportano sollevamento/abbassamento di un carico, si introduce un processo di valutazione a step successivi. Vengono, inoltre, ampliate le modalità di calcolo dell’Indice di Sollevamento nella fase di valutazione approfondita. Ancora, vengono rivisti i pesi limite di riferimento e, infine, vengono modificate le fasce di rischio associate ai valori finali dell’Indice di Sollevamento. Per le azioni che comportano trasporto in piano di un carico viene, invece, introdotto un processo di valutazione a step successivi che permette di verificare le condizioni di accettabilità del rischio.
Come anticipato, i Dms sono un tema caldo sul fronte della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. La portata della questione è fornita dall’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro. Nel suo ultimo rapporto¹, l’ente delinea un quadro piuttosto serio. Il 60% dei lavoratori europei dichiaranti problemi di salute legati al lavoro identificano i Dms come il problema più grave. Inoltre, circa 3 lavoratori su 5 nell’UE riferiscono di soffrire di Dms. I disturbi maggiori riguardano:
Il report riporta poi le statistiche dell’Inail, che offrono un quadro della gravità del fenomeno in Italia. I Dms sono i principali disturbi lavoro-correlati che colpiscono i lavoratori nel nostro Paese. Si tratta, inoltre, di un fenomeno in crescita: nel 2008 la percentuale di chi ne soffriva era del 40%, oggi siamo al 70%.
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Prevenzione: è questa la parola d’ordine per evitare i danni da Dms. Con due coordinate di riferimento: una di queste è la formazione, per tutte le figure aziendali. Un percorso per apprendere le buone prassi per evitare l’insorgenza dei disturbi muscolo scheletrici nella pratica lavorativa quotidiana. Con un accento sulle attività che possono innalzare il rischio da movimentazione manuale dei carichi.
Un altro elemento essenziale è il Documento di valutazione dei rischi. D’altronde, il Dvr serve proprio per analizzare, valutare e cercare di prevenire le varie situazioni di pericolo per i lavoratori. In questo caso, fondamentale è la figura del preposto. Del resto, è lui che è chiamato a:
A lui spetta, inoltre, il compito di verificare che alle zone che espongono a specifici rischi accedano solo lavoratori adeguatamente formati e istruiti.
Si diceva della stretta attualità della questione Dms e movimentazione manuale dei carichi. Se ne è occupata di recente la Cassazione, con una sentenza che merita un rilievo. Anche per capire cosa possa succedere a un datore di lavoro che non valuti correttamente le procedure di movimentazione. La vicenda riguarda il proprietario un’azienda di ceramica, condannato per non aver vigilato sulle modalità di movimentazione di pezzi pesanti. Si trattava di oggetti di oltre 25 chili, che avrebbero dovuto essere spostati dal tornio al carrello di trasporto da una coppia di operai. Al contrario, essi sono stati trasportati da un unico lavoratore, il quale ha poi riportato un infortunio.
In seguito alla condanna, il datore di lavoro aveva presentato ricorso alla Cassazione. La Corte Suprema ha respinto, però, le motivazioni, ribadendo la condanna². Il datore di lavoro – si legge – ha omesso l’adozione delle misure idonee protettive e controllo e vigilanza erano insufficienti per accertare che tali misure fossero adottate dai lavoratori. Ciò «costituisce un inadempimento agli obblighi protettivi tale da esaurire il nesso eziologico dell’infortunio occorso al lavoratore, così da radicarne in via esclusiva la responsabilità».
NOTE:
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¹ Per approfondire: Focus EU-Osha su disturbi muscolo scheletrici
² Sentenza Cassazione Civile, Sez. 6, 06 aprile 2022, n. 11227
Non parole, ma fatti. Del resto, il termine innovazione contiene già in sé il concetto di azione. Le nuove tecnologie influenzano sempre di più il nostro quotidiano, contribuendo a ridisegnare le nostre abitudini e pure il lavoro. Da questo punto di vista, il connubio tra IoT e Dpi rappresenta una svolta significativa nel campo della tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro. L’adozione di dispositivi di protezione individuale, resi smart grazie all’Internet of Things, può contribuire a ridurre in modo sensibile il rischio d’infortuni.
Prima di concentrarci su IoT e Dpi, serve una piccola introduzione. Che cos’è l’Internet of Things? Potremmo definirlo un percorso nello sviluppo tecnologico. Attraverso la rete Internet, ogni oggetto dell’esperienza quotidiana acquista potenzialmente una sua identità nel mondo digitale. Il punto centrale dell’IoT è che oggetti smart siano tra loro interconnessi così da potersi scambiare le informazioni possedute, raccolte e/o elaborate.
Sono passati più di mezzo secolo dalla nascita di Internet, nel 1969, e oltre 20 anni da quando è stata coniata l’espressione Internet of Things¹. In questo lasso di tempo, lo sappiamo, le tecnologie si sono fortemente evolute. Oggi sono molteplici, anche in Italia², gli esempi concreti di IoT: dalla casa all'industria, dalle auto all’illuminazione pubblica delle città, dalla logistica al settore medicale. Del resto, l’interconnessione degli oggetti intelligenti è un paradigma che, sulla carta, non ha confini applicativi e può creare valore in numerosi ambiti, anche in quello della sicurezza sul lavoro.
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L’internet of Things rappresenta, dunque, un’opportunità da cogliere. Questo anche nel campo della tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro, con un accento sulla prevenzione. Del resto, come più volte abbiamo ricordato, siamo in presenza di una materia fluida e in costante evoluzione, non solo dal punto di vista normativo.
Lo sviluppo dell’elettronica e delle nuove tecnologie hanno già iniziato a incidere notevolmente sulla gestione e sull’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Da questo punto di vista, grazie all’IoT, i Dpi possono acquisire informazioni in tempo reale e scambiarsi dati. Partendo da questo punto di vista si può, quindi, comprendere come i device intelligenti possano migliorare la gestione della prevenzione sul lavoro. Vi sono già esempi sul campo: speciali sensori riescono a rilevare, per esempio, la presenza di gas tossici o misurare la temperatura esterna. E ciò, in condizioni particolari, come un intervento in spazi confinati, può salvare delle vite.
Sono già numerosi i casi di studio interessanti da citare parlando di IoT e Dpi. Tra questi troviamo dispositivi in grado di:
Un esempio interessante per comprendere bene cosa voglia dire Internet of Things applicato ai dispositivi di protezione individuale è offerto dai Vigili del Fuoco. Sensori integrati negli indumenti protettivi indossati monitorano le funzioni del corpo come frequenza respiratoria, battito cardiaco e pressione sanguigna. Queste informazioni in tempo reale offrono preziose indicazioni in merito alle condizioni operative degli operatori, individuando per tempo possibili situazioni di crisi.
L’innovazione, specialmente quando impatta sulla salute e sulla sicurezza, necessita di requisiti e regole che ne indichino le corrette modalità e i limiti d’impiego. A tal proposito, di recente è arrivato il rapporto tecnico UNI TR 11858: 2022³ dedicato proprio al tema delle tecnologie IoT applicate ai Dpi. Si tratta del primo documento normativo italiano che affronta la questione IoT e Dpi, parlando della gestione e dell’interazione con l’ambiente di lavoro.
Il documento affronta, tra l’altro, le modalità con cui i Dpi possono essere corredati di tag, attivi e passivi. Ogni tag deve essere associato a un dispositivo e rilevato in abbinamento al lavoratore che ne farà uso. Grazie a questo sistema smart, è possibile collezionare dati utili per incrementare la sicurezza. Da un lato il datore di lavoro ha un quadro generale del comportamento degli operatori nell’utilizzo dei Dpi. Dall’altro, il lavoratore viene guidato nell’utilizzo corretto dei dispositivi.
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Come sappiamo, a seconda della situazione e del tipo di lavoro, i rischi variano notevolmente. Il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Il Documento di valutazione del rischio è lo strumento primario per assolvere a quest’obbligo. E, all’interno del DVR, per ogni rischio sono indicati i dispositivi di protezione individuale che vanno usati durante l'attività lavorativa per ridurre al minimo la probabilità che si verifichi un evento dannoso.
In tal senso, i vantaggi dell’implementazione di IoT e Dpi sono notevoli. L’introduzione di queste tecnologie, intanto, contribuisce a semplificare le attività di gestione e manutenzione dei Dpi. Possono, inoltre, essere introdotte funzionalità a sostegno della sicurezza, come, per esempio, la segnalazione del mancato o non corretto utilizzo dei Dpi. Ancora, è possibile:
Per l’Inail, l’impiego di tali tecnologie amplierà il ruolo dei Dpi, contribuendo a migliorare le condizioni di salute e sicurezza. Resta aperta la questione privacy: ogni evoluzione, non è un segreto, porta con sé anche qualche criticità da affrontare. In attesa di ulteriori indicazioni in merito, il riferimento resta il GDPR.
NOTE
¹ L'espressione Internet of Things è stata formulata per la prima volta nel 1999 dall'ingegnere inglese Kevin Ashton, cofondatore dell'Auto-ID Center di Massachusetts.
² Per approfondire: Osservatorio Internet of Things 2021-22.
³ Per saperne di più: Inail, Pubblicato il rapporto tecnico UNI TR 11858:2022.
Salute e sicurezza sul lavoro a 360°, da tutti i punti di vista. È la nostra sfida quotidiana, da quasi vent’anni. Ogni giorno ci impegniamo per dare risposte puntuali alle esigenze di lavoratori e imprese, studiando, restando aggiornati, facendo gioco di squadra. Da questo punto di vista, abbiamo avviato di recente una collaborazione con Shop Sicurezza, realtà vicentina specializzata nel settore DPI e sicurezza.
Come anticipato, fare squadra è fondamentale. Specie quando si parla di formazione e sicurezza sul lavoro. Discorso che vale in seno all’azienda, partecipando al “sistema sicurezza”. Ma anche tra realtà diverse ma unite da un medesimo macro obiettivo. Ovvero contribuire a migliorare:
È questa medesima visione, al di là della vicinanza geografica, ad aver posto le basi della collaborazione con Shop Sicurezza. La realtà di Zermeghedo opera da cinquant’anni in ambito antinfortunistica, Dpi e sicurezza. Produttore e rivenditore, si rivolge a vari settori: dall’industria pesante alla ristorazione. Allargando, però, lo sguardo. «L’idea – spiega Martina Pieropan di Shop Sicurezza – è offrire uno spazio specializzato per offrire un servizio a 360° per i lavoratori e le aziende. Un luogo in cui non solo trovare i migliori prodotti per la protezione individuale, personalizzati a seconda delle esigenze. Ma anche un luogo di consulenza, dove essere guidati nella scelta da professionisti esperti. E dove essere aggiornati grazie a continui corsi di formazione». In tal senso, ecco che lo showroom di Shop Sicurezza si apre ai formatori e_labo per ospitare alcuni dei nostri corsi sulla sicurezza proposti.
Primo soccorso, antincendio, ma anche corsi mirati per dirigenti, preposti, RLS e RSPP. Sono solo alcune delle proposte formative erogate in collaborazione con Shop Sicurezza. Non si tratta di un mero do ut des. «Oggi, sempre di più, le aziende chiedono un servizio a 360° – spiega Andrea Fracasso, consulente HSE e formatore qualificato di e_labo –. Per questo, avere un partner in grado di fornire ciò che noi rileviamo a livello di valutazione dei rischi è estremamente vantaggioso». Due realtà, insomma, che si muovono in sinergia, completandosi a vicenda. Si parte, infatti, dalla valutazione dei rischi per arrivare alla parte più pratica, legata all’antinfortunistica e alla segnaletica di sicurezza. «Avere a disposizione tutti i Dpi esposti è motivo d’interesse per i partecipanti ai corsi, che possono toccare con mano tutte le caratteristiche dei prodotti» evidenzia Pieropan. L’obiettivo comune è quindi quello di unire più professionalità, in modo da offrire un servizio completo al cliente.
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Novità in materia di valutazione del rischio. In particolare, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni. È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale Europea la direttiva (UE) 2022/431¹ che rimette ulteriormente mano alla 2004/37/CE. L’atto normativo modifica alcuni valori limite di diverse sostanze pericolose come piombo e nichel. Vengono, inoltre, introdotte le sostanze tossiche per la riproduzione nel campo d’applicazione della direttiva. Facciamo il punto sulle principali indicazioni e novità introdotte.
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Una delle novità sta già nel titolo della direttiva (UE) 2022/431. Accanto agli agenti cancerogeni e mutageni, vengono infatti introdotte le sostanze tossiche per la riproduzione. Si tratta di composti o miscele che corrispondono ai criteri di classificazione come sostanze tossiche per la riproduzione di categoria 1A o 1B del regolamento (CE) n. 1272/2008. Questi agenti sono ritenuti responsabili di effetti nocivi sulla funzione sessuale e sulla fertilità di uomini e donne. Viene fatta una distinzione tra:
Proseguendo nell’analisi delle novità, tra gli agenti chimici sottoposti a modifica dalla nuova direttiva (UE) 2022/431 troviamo il benzene. Parallelamente, vengono aggiunte diverse sostanze tossiche per la riproduzione, ponendo, dove presente, un valore limite di esposizione. Tra queste: composti del nichel, mercurio, bisfenolo A e monossido di carbonio.
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La direttiva (UE) 2022/431 è in vigore dallo scorso 5 aprile. Gli Stati membri, tra cui l’Italia, hanno due anni di tempo, fino al 5 aprile 2024, per recepire l’atto normativo. Da questo punto di vista, è opportuna una considerazione. Nel panorama normativo italiano, infatti, la valutazione del rischio per lavoratori esposti a sostanze tossiche per la riproduzione ricade nel Capo I del Titolo IX del D. Lgs. 81 del 2008. Diversamente dagli agenti cancerogeni e mutageni, che ricadono nel Capo II dello stesso Titolo IX.
A oggi non è chiaro come verrà recepita la direttiva (UE) 2022/431 nel nostro Paese. Potrebbe essere accorpata interamente nel Capo II del Titolo IX, assieme alle sostanze cancerogene e mutagene, oppure rimanere nel Capo I. Per capire quale sarà l’impatto in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro è necessario, dunque, attendere il recepimento nazionale, previsto, appunto, nell’arco del prossimo biennio.
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In attesa di capire come verrà recepita in Italia la nuova direttiva (UE) 2022/431, il tema offre già ora lo spunto per un approfondimento. Nello specifico, circa le azioni che aziende e datori di lavoro devono mettere in pratica.
Da questo punto di vista, va sottolineato che la logica prevenzionistica per i lavoratori esposti a sostanze tossiche per la riproduzione segue quella già presente per gli agenti cancerogeni e mutageni. Le nuove condizioni previste dalla direttiva (UE) 2022/431, per quanto tecnicamente possibile, devono includere:
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C’è dell’altro. E ci riguarda da vicino. È, infatti, necessario che i lavoratori ricevano una formazione adeguata e sufficiente. Ciò per capire se sono o possono essere esposti ad agenti cancerogeni, mutageni o tossici per la riproduzione. Al fine di fare chiarezza sull’uso e sui rischi connessi alla manipolazione di queste sostanze, è fondamentale adottare misure per aiutare dipendenti e datori di lavoro a riconoscerle.
Per valutare la gestione, consigliamo di iniziare a mappare i prodotti utilizzati in azienda. Questo al fine di individuare quelli che contengono sostanze presenti nell’allegato III della direttiva (UE) 2022/431. E attenzione alle SDS: ricordiamo, infatti, che, i nuovi limiti di esposizione devono essere riportati nelle schede di dati di sicurezza dei prodotti aziendali. Ciò in virtù del Regolamento n. 878 del 2020.
NOTE
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¹ Per approfondire: Direttiva (UE) 2022/431 del Parlamento europeo e del Consiglio.
Continue urgenze, vere o presunte. Scarsa programmazione. Lavoro altalenante e disuniforme. Sono solo alcuni dei fattori che rendono difficile reggere la pressione sul lungo periodo negli ambienti di lavoro. Se il tutto, poi, è condito da una pandemia, la situazione non migliora e, anzi, rischia di peggiorare. Con tutto quel che ne consegue. Conviene, dunque, riflettere su un tema di rilievo spesso sottovalutato: il benessere mentale dei lavoratori. Ma di cosa si tratta esattamente? Lo scopriamo in questo articolo, approfondendo le insidie che minacciano l’equilibrio mentale in ambito professionale.
L’Organizzazione mondiale della sanità identifica il benessere mentale come parte integrante della salute dell’individuo. Sono incluse dimensioni psichiche, fisiche e sociali: tre aspetti che operano sinergicamente tra loro. Si deve, insomma, parlare non solo di benessere fisico ma anche di salute psichica.
È importante prestare la giusta attenzione al tema. Proprio il (mancato) benessere psicologico risulta, infatti, essere tra le cause principali che portano le persone a lasciare un posto di lavoro. E sono sempre di più a farlo. Una questione attuale che si lega al fenomeno della cosiddetta great resignation. Con la pandemia, molti hanno avuto l’occasione di interrogarsi e riflettere sulla propria vita, il proprio lavoro e il livello di benessere percepito. E questa nuova consapevolezza, in molti casi, ha portato a un elevato numero di dimissioni dal posto di lavoro. Quanti? Tra aprile e maggio 2021, il numero di dimissioni in Italia è cresciuto dell’85% rispetto all’anno precedente¹. Allargando lo sguardo ai primi nove mesi del 2021, un rapporto Area Studi Legacoop-Prometeia parla di un +31% sul 2020 di dimissioni volontarie. In totale, oltre 1,3 milioni di persone hanno scelto di lasciare volontariamente il proprio lavoro nel nostro Paese.
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L’ambiente di lavoro si dimostra un luogo ancora poco adatto per esprimere il proprio malessere emotivo. È quanto emerge da una recente ricerca di BVA Doxa per Mindwork². Metà dei professionisti interpellati non si sente libera di dichiarare il proprio malessere. Il problema è che 3 lavoratori italiani su 4 sperimentano quotidianamente ansia e stress³. Molte aziende promuovono azioni dirette per aumentare il benessere dei propri lavoratori. Di norma si punta, però, su flessibilità e benefit economici. Sono ancora poche le iniziative volte a sostenere il benessere psicologico dei singoli.
Di fatto, dunque, la salute psicologica fatica a essere normalizzata nel contesto aziendale, nonostante da più parti sia avvertita e indicata come una necessità urgente. Si parla, in questo caso, di mancanza di sicurezza psicologica, ovvero quel senso di tranquillità nell’esprimere preoccupazioni, idee e difficoltà senza il timore di essere ignorati o giudicati. La situazione non migliora se ci si mette pure la positività tossica. Si tratta di una condizione che porta a ostentare ottimismo e benessere mentale a tutti i costi, anche quando le emozioni provate sono opposte. Frasi come “Andrà tutto bene”, “Vedrai che passa” non fanno altro che rafforzare la tendenza a mostrarsi sempre positivi, non lasciando spazio alle emozioni reali. Una finzione che sul lavoro, prima o poi, presenta il conto.
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Quali sono, quindi, comportamenti e atteggiamenti in grado di favorire condizioni di malessere? Malgrado non sia possibile fare un inventario preciso di fattori che concorrono a generare stress, sono stati individuati alcuni stimoli che contribuiscono ad accrescerlo. Tra questi:
Anche una comunicazione inadeguata ha il suo peso. L’assenza o scarsa chiarezza nella definizione di obiettivi, responsabilità e ruoli minano l’autostima decisionale.
Tutelare il benessere mentale dei lavoratori diventa essenziale. Anche perché questi ultimi sono alla continua ricerca di:
Le persone desiderano ambienti che si prendano cura delle loro esigenze e che promuovano un clima positivo al loro interno. Nel dettaglio, 9 lavoratori italiani su 10, per BVA Doxa-Mindwork, vogliono che la loro azienda si occupi attivamente del benessere psicologico dei dipendenti. Il report 2021 della società di consulenza Mercer⁴ evidenzia che i datori di lavoro che dimostrano di interessarsi hanno il vantaggio di creare una forza lavoro più resiliente e leale.
Non solo un dovere, ma anche un’opportunità e un investimento per il management. Favorire una cultura organizzativa a misura di persona, che permetta di sentirsi al sicuro anche dal punto di vista del benessere mentale, porta notevoli vantaggi a un’impresa. Si contrasta il rischio dimissioni, si riduce l’assenteismo, si fa squadra.
NOTE
¹ Fonte: ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
² Per approfondire: ricerca BVA Doxa per Mindwork.
³ Secondo l’Accordo Europeo sullo stress lavoro correlato del 2004, lo stress è "una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale”. Può interessare potenzialmente ogni luogo di lavoro e ogni lavoratore. In Italia, il vigente quadro normativo, costituito dal d.lgs. 81/2008 e s.m.i., obbliga i datori di lavoro a valutare e gestire il rischio stress lavoro-correlato al pari di tutti gli altri rischi, in recepimento dei contenuti dell’Accordo europeo.
⁴ Health on demand, Mercer.