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Lavorando quotidianamente con molte aziende, piccole e grandi, ci siamo accorti di quanto il benessere organizzativo sia un trend topic. O, meglio, dovrebbe esserlo. Un ambiente di lavoro sano e stimolante, in cui i dipendenti si sentono valorizzati, coinvolti e motivati a dare il loro miglior contributo, conviene a tutto tondo. Questo concetto abbraccia una serie di elementi fondamentali, tra cui la gestione del tempo, l’organizzazione e gestione delle risorse umane, la promozione dell’equilibrio tra vita professionale e personale.
In un mondo in continua evoluzione, le aziende sono costantemente chiamate a fronteggiare nuove sfide e ad adattarsi a un mercato sempre più competitivo. In questo contesto, la formazione continua dei lavoratori gioca un ruolo fondamentale per garantire la competitività e lo sviluppo sostenibile delle aziende. Non si tratta solo di essere sempre aggiornati su aspetti tecnici, legislativi e normativi, ma anche sulle cosiddette life skills.

Life skills: apprendimento continuo per affrontare le sfide sul lavoro

Sempre più ci rendiamo conto di quanto l’apprendimento permanente sia essenziale per far fronte alle sfide mutevoli del panorama professionale moderno. Le aziende devono fornire ai propri collaboratori sia le competenze necessarie per adattarsi alle nuove tecnologie e all’evoluzione delle normative, sia sviluppare le cosiddette life skills. Si tratta di quelle abilità personali e sociali che consentono ai professionisti di affrontare lo stress, lavorare in team e pianificare e organizzare il proprio lavoro con efficacia. Ma anche rapportarsi con i clienti nel giusto modo. Tra queste troviamo:

Arricchiscono il menù la capacità di pianificare obiettivi e attività in modo strutturato e l’abilità di analizzare situazioni complesse, riuscendo a prendere decisioni in autonomia. Un aspetto non proprio secondario. Tant’è che gli esperti evidenziano proprio come le life skills rappresentino un nodo critico del mancato incontro fra domanda e offerta di lavoro. Questo perché devono essere allenate costantemente. L’imprenditore valuta e ricerca le life skills nei propri collaboratori, poiché sono essenziali per raggiungere elevati standard di performance e promuovere un ambiente di lavoro armonioso e motivante.

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Formarsi bene per formare meglio: la nostra esperienza

In quest’ottica, noi di e_labo abbiamo scelto di metterci in gioco. Del resto, in questi primi vent’anni siamo cresciuti e cambiati molto. Negli ultimi mesi, siamo stati affiancati da Francesca Viperli, consulente risorse umane, che ci ha supportati in un avvincente percorso di consulenza e formazione che ha coinvolto tutto il nostro team. Abbiamo osservato e ci siamo osservati, raccogliendo le varie sfide proposte, per migliorare i nostri processi interni e rafforzare la comunicazione di gruppo. Formarsi bene per formare meglio, insomma, alzando sempre più l’asticella qualitativa della nostra offerta.

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Organizzazione e gestione delle risorse umane e non solo: nuove opportunità formative 

Da questa esperienza, sempre in collaborazione con Francesca Viperli, sono nate nuove opportunità formative per i nostri clienti. Organizzazione e gestione delle risorse umane, ma non solo. Nello specifico:

Non solo corsi multiaziendali. Spazio anche a percorsi personalizzati di consulenza e formazione per accrescere le competenze organizzative e relazionali in azienda. Sono previsti un incontro preliminare di analisi dei bisogni, monitoraggio in itinere e follow-up di valutazione a distanza di un mese.

Vuoi saperne di più?
Contattaci per ricevere la brochure delle nostre proposte formative per la competitività, l’organizzazione e gestione delle risorse umane e il link del webinar dello scorso maggio.
Altri ne seguiranno:
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Ridurre l’affaticamento muscolare, soprattutto a livello delle spalle e della schiena del lavoratore, aumentare la sicurezza, prevenire infortuni. È il contributo offerto dall’esoscheletro per lavoro. Non si tratta di un sogno futuristico o utopico: sono sempre più numerose le aziende in Italia che decidono di dotare i loro dipendenti di questo tipo di supporto, dalle grandi potenzialità. Attraverso il racconto del nostro Lorenzo Reniero, RSPP e Formatore di sicurezza, parliamo di un caso di studio e_labo in corso d’opera, con l’esoscheletro per lavoro che entra per la prima volta in un’azienda conciaria. In primis, però, vediamo che cos’è un esoscheletro, come funziona e quali benefici porta a livello professionale.

Esoscheletro occupazionale: supporto attivo e passivo

L’esoscheletro per lavoro è un dispositivo che può essere impiegato all’interno di ogni azienda per supportare i lavoratori che svolgono attività manuali. Progettati per supportare meccanicamente il corpo umano durante il sollevamento delle merci o per attività particolarmente gravose, gli esoscheletri riducono il carico nello sforzo fisico umano. In questo modo, limitano l’impatto di carichi pesanti e concorrono a evitare il rischio di danni a livello muscolo scheletrico. Nello specifico:

Per comprendere meglio differenze e peculiarità, ricorriamo a una metafora. Immaginiamo di pedalare prima su una bicicletta normale, poi su una bici elettrica, infine di guidare un motorino. Lavorare senza esoscheletro è come pedalare su un bici normale: la fatica è tutta di chi sta in sella. Utilizzare un esoscheletro passivo è come andare su una bici elettrica: si è facilitati, ma comunque va fatto un po’ di sforzo. Usare, invece, un esoscheletro attivo è come guidare un motorino.
Attualmente nel mondo ci sono una decina di aziende che producono l’esoscheletro per lavoro. Una di queste è Comau, che si appoggia per la distribuzione alla padovana AZeta Solutions, con la quale stiamo collaborando per un’applicazione in una conceria di Arzignano.

Malattie professionali: l’importanza della prevenzione

Uno degli scopi principali dell’esoscheletro per lavoro ruota intorno alla prevenzione delle malattie professionali. A livello europeo, secondo l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute per il lavoro, i disturbi muscolo scheletrici legati al lavoro (DMS) rappresentano il 60% di tutte le malattie professionali e possono essere colpiti i lavoratori di tutti i settori. In Italia, le denunce di malattia professionale protocollate dall’INAIL nei primi nove mesi dell’anno sono state 43.933¹, +8,6% rispetto allo stesso periodo del 2021. E le patologie del sistema osteo muscolare restano nella top 3 delle malattie professionali per incidenza.

In questo contesto, l’esoscheletro rappresenta un’opportunità, in più ambiti industriali, limitando i fattori di rischio da sovraccarico biomeccanico e diminuendo fino al 40% lo sforzo fisico degli operatori².

Leggi anche: Dms e movimentazione manuale dei carichi: novità con la UNI ISO 11228-1:2022 

L’esoscheletro per il lavoro in conceria: l’esperienza e_labo

Come si diceva, l’esoscheletro per lavoro è già realtà. O, perlomeno, lo sta diventando, con molteplici esperienze sul campo. Una di queste ci vede protagonisti: per la prima volta l’esoscheletro entra in un’azienda conciaria. Accade nella nostra Arzignano, dove abbiamo fatto da intermediari tra l’azienda produttrice e la conceria.

Nel dettaglio, l’inserimento dell’esoscheletro serve per risolvere il peso delle pelli che vengono sollevate. Bagnate, possono arrivare a pesare fino a 20 o 30 Kg. Una condizione che, alla lunga, può causare seri problemi osteo articolari agli operatori. Anche perché il movimento viene eseguito continuativamente per 8 ore al giorno, ovviamente con le dovute pause previste dalla legge. In tale contesto, l’esoscheletro si sta dimostrando molto efficace. «Questo dispositivo è funzionale in base ai gradi di apertura del braccio che si ottengono quando esso si muove per sollevare le merci – spiega Reniero –. Tra 0° e 20° l’efficienza dell’esoscheletro è nulla, mentre diventa molto efficace tra i 90° e 135°».
Il modello di esoscheletro passivo per arti superiori, MATE-XT di Comau, che l’azienda conciaria sta utilizzando, va a defaticare del 30% gli arti superiori del lavoratore che svolge l’attività. Così il sollevamento delle pelli si fa più agevole. Tuttavia un rischio c’è, ovvero che l’esoscheletro venga inquadrato come uno strumento che diminuisca il peso della merce. È opportuno evidenziare che, attraverso l’esoscheletro, l’operatore risulta facilitato nell’operazione di sollevamento e percepirà meno la pesantezza delle pelli. Il carico, però, non cambia.

Valutazione del rischio e formazione

Quando si parla della possibilità d’integrare un esoscheletro per lavoro in azienda, si parte di norma da una proposta e si passa, poi, alla prova. Solo in un secondo momento ci sarà un noleggio dello strumento. In generale, quando siamo chiamati ad affrontare sperimentazioni di questo tipo, iniziamo con una valutazione del rischio.
Nel caso specifico, si valuta il rischio ergonomico attraverso un'analisi approfondita finalizzata anche all'individuazione di misure di prevenzione. «L’esoscheletro non è ovviamente l'unica soluzione – specifica Reniero –: come avviene in molti casi, sono una visione e un approccio d'insieme e la cooperazione di più elementi a far la differenza. Nel dettaglio, per le attività che prevedono un movimento ripetitivo si ricorre all’alternanza di turno e il cambio di postazione tra i dipendenti».
«Una volta che il cliente acquista o noleggia un esoscheletro, è necessario un piccolo addestramento, di circa un’ora, in modo tale da conoscere a fondo caratteristiche e funzionalità» conclude Reniero. Anche in questo caso, dunque, la formazione riveste un ruolo importante. Per prendere confidenza con questa tipologia di dispositivi, ma non solo. La rilevanza del tema è confermata dalla presenza della prevenzione dei disturbi muscolo scheletrici e dei movimenti ripetitivi tra gli argomenti del corso di formazione specifica per i lavoratori, obbligatorio per legge.

NOTE

Foto in evidenza: Esoscheletro passivo MATE-XT by Comau.com

¹ Per approfondire: Infortuni e malattie professionali, online gli open data Inail dei primi nove mesi del 2022

² Per saperne di più: Innovazione per la sicurezza, ecco i prototipi degli esoscheletri di Inail e IIT per i lavoratori e le lavoratrici del futuro

Totalmente o parzialmente chiuso, non adatto alla permanenza di persone, ma occupabile temporaneamente per interventi lavorativi particolari. È la definizione di spazio confinato. In un precedente articolo abbiamo analizzato i principali rischi del lavoro in spazi confinati e cosa dice la legislazione in merito. Torniamo sull’argomento, allargando lo sguardo. Analizziamo, nel dettaglio, quanto sia importante censire gli spazi confinati, valutare i rischi, le misure di prevenzione e le soluzioni d’emergenza da adottare. Del resto, gli ambienti confinati sono, per loro stessa natura, luoghi di lavoro che presentano molteplici potenziali fattori di rischio. Sapere cosa fare e cosa no può, insomma, aiutare a prevenire gravi infortuni.

Valutare i rischi del lavoro in spazi confinati

Il lavoro in spazi confinati è regolamentato dal D.lgs. n. 81/2008, ovvero il Testo Unico sulla Sicurezza e il DPR n.171/2011¹. In particolare, gli articoli 17 e 28 del TUS impongono ai datori di lavoro di fare una precisa valutazione di tutti rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, redigendo il DVR, il documento di valutazione del rischio.
Effettuare una valutazione specifica per gli spazi confinati è un punto di partenza di fondamentale importanza. Il processo di valutazione dei rischi comprende una serie di passaggi che devono essere seguiti. Nello specifico:

Ultima, ma non per importanza, c'è la compilazione di schede specifiche per ogni spazio confinato. In esse sono indicate tutte le misure e le persone che possono lavorare al loro interno.

Il censimento degli spazi confinati e la creazione di checklist specifiche

Per eseguire un censimento completo degli spazi confinati presenti in un luogo di lavoro devono essere svolte le seguenti attività.

Viene poi posizionata una segnaletica specifica per gli spazi confinati che individui i fattori di rischio, limitando l’accesso alle sole persone autorizzate. Si redige, inoltre, una planimetria in cui siano indicati gli ambienti confinati presenti in azienda.
Per effettuare un censimento è possibile utilizzare alcune specifiche check­list che devono essere compilate dal consulente esperto che segue il processo di valutazione dei rischi. In questi documenti devono essere indicati il nome e la localizzazione dello spazio. Inoltre, bisogna verificare che il luogo preso in considerazione rispetti le caratteristiche indicate dalle OSHA 1910.146², affinché possa essere considerato uno spazio confinato. Si deve segnalare la presenza di pericoli e le attività che si svolgono al suo interno, specificando la descrizione del lavoro in spazi confinati, la frequenza, la durata e chi lo svolge.

Lavoro in spazi confinati

Procedure e prevenzione per il lavoro in spazi confinati

Abbiamo visto che, come prima cosa, il datore di lavoro deve valutare se sia possibile o meno far entrare i dipendenti in spazi confinati. Talvolta può succedere che, attraverso un’attenta pianificazione, si riesca ad evitare la necessità di svolgere mansioni all’interno di spazi confinati.

Il lavoro in spazi confinati implica l’identificazione dei pericoli presenti, la valutazione dei rischi e l’individuazione, quindi, di misure precauzionali. Per una corretta valutazione, si dovranno prendere in considerazione il tipo di attività e di ambiente di lavoro, i materiali e le attrezzature usati, l’idoneità degli addetti e le soluzioni da adottare per interventi d’emergenza. Nel caso in cui non sia possibile evitare l’ingresso nello spazio confinato è opportuno assicurarsi di disporre di adeguate procedure operative. Occorre, poi, prevedere adeguate soluzioni d’emergenza, prima dell’inizio dei lavori. Inoltre, bisogna:

Tra le altre azioni da mettere in atto, la formazione si ritaglia un ruolo di primo piano. I corsi specifici fornisco le informazioni di base necessarie per affrontare i pericoli derivanti dall’ingresso in locali confinati.

Scopri il nostro corso locali confinati
e i prossimi appuntamenti in calendario.

Gestione e intervento in caso di emergenza

Perché fare tutto ciò? Per garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori. Anche perché, in caso di incidente, i lavoratori all’interno di uno spazio confinato sono esposti a un serio e immediato pericolo. In questo senso, stabilire misure efficaci per la segnalazione dell’emergenza e per lo svolgimento delle operazioni di soccorso, è decisivo. Le misure di emergenza variano a seconda del rischio. In linea generale bisogna:

Ovviamente, purtroppo, non esiste il rischio zero quando si parla di lavoro in spazi confinati. È più opportuno parlare di rischio residuo. Si tratta di quel margine di pericolo che resiste dopo aver messo in campo tutte le misure e le procedure organizzative. Con una postilla non proprio irrilevante: la cultura della prevenzione e un’adeguata formazione possono fare la differenza.

NOTE

¹ Per approfondire: Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati

² Occupational Safety and Health Administration, 1910.146 - Permit-required confined spaces

Continue urgenze, vere o presunte. Scarsa programmazione. Lavoro altalenante e disuniforme. Sono solo alcuni dei fattori che rendono difficile reggere la pressione sul lungo periodo negli ambienti di lavoro. Se il tutto, poi, è condito da una pandemia, la situazione non migliora e, anzi, rischia di peggiorare. Con tutto quel che ne consegue. Conviene, dunque, riflettere su un tema di rilievo spesso sottovalutato: il benessere mentale dei lavoratori. Ma di cosa si tratta esattamente? Lo scopriamo in questo articolo, approfondendo le insidie che minacciano l’equilibrio mentale in ambito professionale.

Benessere mentale: di cosa si tratta?

L’Organizzazione mondiale della sanità identifica il benessere mentale come parte integrante della salute dell’individuo. Sono incluse dimensioni psichiche, fisiche e sociali: tre aspetti che operano sinergicamente tra loro. Si deve, insomma, parlare non solo di benessere fisico ma anche di salute psichica.
È importante prestare la giusta attenzione al tema. Proprio il (mancato) benessere psicologico risulta, infatti, essere tra le cause principali che portano le persone a lasciare un posto di lavoro. E sono sempre di più a farlo. Una questione attuale che si lega al fenomeno della cosiddetta great resignation. Con la pandemia, molti hanno avuto l’occasione di interrogarsi e riflettere sulla propria vita, il proprio lavoro e il livello di benessere percepito. E questa nuova consapevolezza, in molti casi, ha portato a un elevato numero di dimissioni dal posto di lavoro. Quanti? Tra aprile e maggio 2021, il numero di dimissioni in Italia è cresciuto dell’85% rispetto all’anno precedente¹. Allargando lo sguardo ai primi nove mesi del 2021, un rapporto Area Studi Legacoop-Prometeia parla di un +31% sul 2020 di dimissioni volontarie. In totale, oltre 1,3 milioni di persone hanno scelto di lasciare volontariamente il proprio lavoro nel nostro Paese.

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Il luogo di lavoro, tra sicurezza psicologica e positività tossica

L’ambiente di lavoro si dimostra un luogo ancora poco adatto per esprimere il proprio malessere emotivo. È quanto emerge da una recente ricerca di BVA Doxa per Mindwork². Metà dei professionisti interpellati non si sente libera di dichiarare il proprio malessere. Il problema è che 3 lavoratori italiani su 4 sperimentano quotidianamente ansia e stress³. Molte aziende promuovono azioni dirette per aumentare il benessere dei propri lavoratori. Di norma si punta, però, su flessibilità e benefit economici. Sono ancora poche le iniziative volte a sostenere il benessere psicologico dei singoli.
Di fatto, dunque, la salute psicologica fatica a essere normalizzata nel contesto aziendale, nonostante da più parti sia avvertita e indicata come una necessità urgente. Si parla, in questo caso, di mancanza di sicurezza psicologica, ovvero quel senso di tranquillità nell’esprimere preoccupazioni, idee e difficoltà senza il timore di essere ignorati o giudicati. La situazione non migliora se ci si mette pure la positività tossica. Si tratta di una condizione che porta a ostentare ottimismo e benessere mentale a tutti i costi, anche quando le emozioni provate sono opposte. Frasi come “Andrà tutto bene”, “Vedrai che passa” non fanno altro che rafforzare la tendenza a mostrarsi sempre positivi, non lasciando spazio alle emozioni reali. Una finzione che sul lavoro, prima o poi, presenta il conto.

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Malessere sul lavoro: cause ed effetti

Quali sono, quindi, comportamenti e atteggiamenti in grado di favorire condizioni di malessere? Malgrado non sia possibile fare un inventario preciso di fattori che concorrono a generare stress, sono stati individuati alcuni stimoli che contribuiscono ad accrescerlo. Tra questi:

Anche una comunicazione inadeguata ha il suo peso. L’assenza o scarsa chiarezza nella definizione di obiettivi, responsabilità e ruoli minano l’autostima decisionale.

Come promuovere un ambiente professionale più sano

Tutelare il benessere mentale dei lavoratori diventa essenziale. Anche perché questi ultimi sono alla continua ricerca di:

Le persone desiderano ambienti che si prendano cura delle loro esigenze e che promuovano un clima positivo al loro interno. Nel dettaglio, 9 lavoratori italiani su 10, per BVA Doxa-Mindwork, vogliono che la loro azienda si occupi attivamente del benessere psicologico dei dipendenti. Il report 2021 della società di consulenza Mercer⁴ evidenzia che i datori di lavoro che dimostrano di interessarsi hanno il vantaggio di creare una forza lavoro più resiliente e leale.
Non solo un dovere, ma anche un’opportunità e un investimento per il management. Favorire una cultura organizzativa a misura di persona, che permetta di sentirsi al sicuro anche dal punto di vista del benessere mentale, porta notevoli vantaggi a un’impresa. Si contrasta il rischio dimissioni, si riduce l’assenteismo, si fa squadra.

NOTE

¹ Fonte: ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

² Per approfondire: ricerca BVA Doxa per Mindwork.

³ Secondo l’Accordo Europeo sullo stress lavoro correlato del 2004, lo stress è "una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale”.  Può interessare potenzialmente ogni luogo di lavoro e ogni lavoratore. In Italia, il vigente quadro normativo, costituito dal d.lgs. 81/2008 e s.m.i., obbliga i datori di lavoro a valutare e gestire il rischio stress lavoro-correlato al pari di tutti gli altri rischi, in recepimento dei contenuti dell’Accordo europeo.

Health on demand, Mercer.

Torniamo a occuparci di Covid-19. Questa volta per parlare di una conseguenza del virus forse meno evidente delle altre. Si stanno, infatti, moltiplicando i casi di stress da pandemia.  E a risentirne può essere anche la sfera professionale. Diventa, quindi, importante per i lavoratori e per i datori di lavoro saper riconoscere i segnali di questa sindrome per gestirla al meglio. 

Stress da pandemia: che cos’è?

Tra i nuovi termini che il Covid-19 ha aggiunto al nostro vocabolario c’è “coronaphobia”. Si tratta di un’eccessiva risposta innescata dalla paura di contrarre il virus, ma anche dall’incertezza a livello personale e lavorativo. Si manifesta a livello psicologico con ansia, disturbi del sonno, fino allo stress post-traumatico nei casi più gravi.

C’è, poi, la pandemic fatigue (stanchezza pandemica). È un mix di demotivazione e fatica nel seguire i comportamenti protettivi necessari per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Come evidenzia l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è “una risposta prevedibile e naturale a uno stato di crisi prolungata della salute pubblica”. La gravità e la dimensione della pandemia hanno richiesto misure invasive. Queste hanno avuto un impatto senza precedenti nel quotidiano della collettività. Compreso chi non è stato direttamente toccato dal virus.
Si deve fare in conti con un panorama diverso dal recente passato. E l’ “ambientamento” non sempre è facile. L’Agenzia italiana del farmaco segnala, per esempio, un aumento del ricorso a farmaci ansiolitici (+12% nel 2020), anche a causa della pandemia. 

Conseguenze (e opportunità) sul lavoro

Poiché non siamo fatti a compartimenti stagni, se c’è un malessere nel privato, questo finisce inevitabilmente per ripercuotersi anche sulla sfera professionale. Aumentando, per esempio, le assenze e creando possibili criticità sul fronte della sicurezza.
C’è, tuttavia, anche il rovescio della medaglia. Il posto di lavoro, infatti, anche in tempi di Covid-19, è un luogo naturale di aggregazione. E i gruppi di lavoro possono influenzare positivamente i comportamenti dei singoli. Inoltre, si possono sviluppare spontanee azioni di contenimento dei disagi individuali da cui possono derivare rabbia e frustrazione.
Il contributo imprenditoriale, in questo senso, è essenziale: non solo dal punto di vista di rispetto delle norme, come quelle sul fronte della privacy. Anche come guida e sostegno emotivo e culturale. Si tratta, in primo luogo, di riconoscere lo stress da pandemia e di adottare le opportune misure per prevenirlo e contrastarlo. Fondamentale, da questo punto di vista, è il coinvolgimento attivo dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS), oltre che dei lavoratori stessi. Anche di quelli che lavorano da casa, come vediamo più sotto.

Cosa fare in azienda

Vediamo ora alcune importanti azioni da intraprendere in azienda per prevenire e gestire al meglio situazioni di stress da pandemia stress sul luogo di lavoro:

È opportuno, infine, non dimenticare di fare esercizio fisico. Studi, infatti, dimostrano che i benefici e gli effetti terapeutici sui sintomi depressivi e ansiosi sono notevoli.

Home working: quando lo stress “gioca in casa”

Per ridurre lo stress da pandemia è bene, dunque, promuovere una politica del benessere psicologico. Vale per chi lavora in azienda, vale per chi lo fa da casa. Il ricorso all’home working e allo smart working è sensibilmente aumentato dall’avvento del SARS-CoV-2. Accanto a indubbi benefici e varie opportunità, vi sono anche alcuni svantaggi o, perlomeno, criticità da monitorare. Lavorando da casa, lo stress lavoro-correlato può aumentare.

Stress lavoro-correlato: servono nuove linee guida?

Il maggior ricorso all’home working ha cambiato molto lo scenario lavorativo nell’ultimo anno. E il lavoro da remoto, secondo le previsioni, rimarrà (almeno parzialmente) anche a pandemia finita. In questa nuova cornice, per alcuni, sarebbe necessario ripensare il modo di valutare i rischi sul luogo di lavoro. In particolare quelli legato allo stress lavoro-correlato. E rivedere le Linee Metodologiche dell’INAIL in materia, “aggiungendo” le fattispecie imposte dal Covid-19.

Riprendendo quanto accennato nel paragrafo precedente, andrebbero di certo considerati alcuni potenziali fattori di stress legati all’home working. Si parla, per esempio, di “Zoom fatigue”, ovvero la stanchezza da videoconferenze. Le riunioni virtuali sono aumentate, di numero e di durata, e spesso si passa dall’una all’altra senza soluzione di continuità. Varie ricerche dimostrano che le serie continue di meeting riducono la capacità di concentrazione e possono rappresentare una fonte di stress. 

Attraverso i nostri corsi di formazione,
insegniamo alle persone a prendersi cura di sé e degli altri sul luogo di lavoro.
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Ti sei mai accorto di lavorare o fare qualsiasi altra cosa senza essere veramente attento a ciò che stai compiendo? Ti sei mai sentito sopraffatto dalle cose da fare senza riuscire a pensare a quello che stai facendo? Vivi un momento particolarmente stressante a causa dell’ansia per il futuro? (Una condizione più frequente in questo periodo a causa delle incertezze create dalla pandemia e dall’impatto dello smart working).
Se è così, potrebbe esserti utile la pratica della “mindfulness”. Questa parola inglese significa “consapevolezza” e indica una metodologia meditativa che negli ultimi anni si è sviluppata anche in ambito aziendale. In questo post vedremo insieme di che cosa si tratta e come può aiutare a migliorare il rendimento dei lavoratori e creare un clima più positivo e produttivo e combattere lo stress.

Cos’è la mindfulness

L’idea della mindfulness risale a oltre 2500 anni fa e affonda le sue radici nella tradizione buddista indiana. Deriva dal concetto di “Sati”, che si può tradurre con “attenzione consapevole”. Tale parola rimanda, inoltre, al verbo “sarati”, che significa ricordare. In particolare, ricordarsi dei propri pensieri e comportamenti e delle loro conseguenze sulle persone. 

La concezione moderna della mindfulness nasce negli anni ‘70 con Jon Kabat Zinn, fondatore dell’uso clinico moderno di questo metodo. Egli la definisce come “il processo di prestare attenzione intenzionalmente allo scorrere dell’esperienza nel presente, momento dopo momento”. 

La mindfulness, in sintesi, è uno stato mentale verso il momento che si sta vivendo. Bisogna però fare attenzione a non confonderla con altre pratiche. La mindfulness, per esempio:

I benefici della mindfulness in azienda

La mindfulness, praticata attraverso esercizi concreti, oltre a far focalizzare sul momento presente, aiuta a migliorare la memoria, la concentrazione e la collaborazione. Stimola anche il pensiero creativo, aumenta l’autostima e migliora la qualità del sonno. La mindfulness viene usata a volte nel trattamento di stati psicopatologici, ma sempre più spesso viene introdotta nelle aziende per migliorare le performance ed il clima lavorativo. Ad esempio per:

Come praticarla

In pratica, come si può usare la mindfulness sul posto di lavoro? Un esercizio che tutti possiamo mettere in atto senza muoverci dalla nostra postazione e nel tempo di una pausa caffè è quello cosiddetto dello “S.T.O.P.”. Un acronimo inglese che riunisce le quattro indicazioni per entrare in contatto con il momento presente.

Imparare ad utilizzare correttamente metodi come questo è un aiuto a superare i momenti in cui disperdiamo l’attenzione perdendo di vista il qui ed ora. Attraverso dei percorsi di formazione esperienziale condivisa tenuti da esperti è possibile aiutare i team aziendali a sfruttare al meglio i benefici della mindfulness sul lavoro.

Siamo a disposizione per darti maggiori informazioni e proporre un’attività formativa su misura per la vostra azienda. Ci trovi ad Arzignano, in provincia di Vicenza.

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Come abbiamo visto in un nostro precedente post, i disturbi muscolo scheletrici (DMS), dovuti ai movimenti ripetitivi oltre che alla postura scorretta, sono all’origine del 60-65% delle malattie professionali. Secondo il Ministero della Salute, praticare uno sport aiuta a prevenire l’insorgenza di molte patologie tra cui, appunto i DMS. Promuovere l’attività sportiva sul lavoro può essere quindi un vantaggio per le imprese in termini di produttività. In Italia però sono ancora pochissime quelle che lo fanno.

Attività sportiva sul lavoro

Una postazione di lavoro ergonomica (sia negli uffici sia nei reparti produttivi) è importante per combattere l’insorgenza di malattie dovute alla postura. Un’altra azione utile è la valutazione del rischio legato ai movimenti ripetitivi. Per ridurre l’insorgere di malattie muscolo scheletriche, che sono circa il 60% delle malattie professionali denunciate all’INAIL, può essere utile anche promuovere l’attività sportiva sul lavoro. Secondo uno studio del dell’Università di Oxford, inoltre, lo sport aiuta a prevenire e tenere sotto controllo anche patologie gravi. Tra queste:

Una corretta attività fisica, riducendo l’insorgere di malattie, riduce anche il numero di giorni di malattia dei dipendenti migliorando quindi le performance di un’impresa. Inoltre lo sport migliora l’umore e il modo in cui si affrontano le giornate. E ciò aumenta la produttività al lavoro. Un altro beneficio dello sport, soprattutto quello di squadra, sul lavoro è che aumenta la coesione tra i dipendenti. E, in questo modo, si crea un clima di lavoro decisamente migliore. 

La situazione in Italia

La situazione italiana per quanto riguarda la promozione all’interno delle aziende dello sport non è molto incoraggiante. Infatti, solo l’11% promuove attività sportive per stimolare all'adozione di stili di vita sani. Ciò ci rende il fanalino di coda dell’Europa. La Svezia, con il suo 80%, è il paese europeo che più punta sull’attività sportiva. Ma meglio di noi fanno anche in Spagna (26%), Romania (37%), Slovenia (53%)...

Consigli pratici

Ma cosa può fare in concreto un’azienda per promuovere lo sport tra i propri dipendenti? Ci sono tante opportunità per diffondere le buone prassi. Piccoli accorgimenti che possono essere messi in campo con investimenti minimi, ma che possono dare dei primi risultati. Ad esempio:

Le buone prassi sono importanti non solo in campo sportivo, ma anche in campo alimentare (come abbiamo già visto in un precedente post). Gli studi dimostrano, infatti, che se i lavoratori mangiano in modo equilibrato, si ammalano meno e sono più produttivi. Quindi, in generale, le imprese hanno vantaggio a promuovere stili di vita sani a 360° fra i dipendenti.

Siamo a disposizione per assistere le aziende nell’implementazione di un programma per promuovere l’attività fisica sul lavoro. E in generale per offrire consulenza sulla strategia da adottare per promuovere stili di vita sani tra i lavoratori. Per maggiori informazioni, contattaci. Ci trovi ad Arzignano, in provincia di Vicenza.

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Il rapporto tra alimentazione e lavoro è sempre più sotto la lente degli esperti di organizzazioni aziendali. Gli studi dimostrano infatti che se i lavoratori mangiano in modo equilibrato si ammalano meno e sono più produttivi. Abbiamo già parlato in un precedente post di come promuovere stili di vita sani tra i lavoratori migliori anche la salute delle imprese. Oggi ci concentriamo su cibo e salute.

Alimentazione e lavoro

Anche l’Inail studia la correlazione tra alimentazione e lavoro. Per evitare la diminuzione della resistenza alla fatica e della prontezza dei riflessi dei lavoratori, l’Istituto raccomanda che i pasti consumati siano non troppo abbondanti e digeribili. La categoria alimentare da preferire sono i carboidrati (pane, pasta riso). Accompagnati da legumi, frutta e verdura e da un adeguato apporto idrico.

Iniziative pratiche

Un investimento redditizio

Secondo un rapporto dell’Ufficio internazionale del lavoro, un regime alimentare scorretto può provocare una perdita di produttività del 20%. Viene citato uno studio su un programma che ha coinvolto di 40 mila “tute blu” statunitensi. Il risultato è stato a un calo del 14% nei giorni di malattia e un ritorno di 2,05 dollari per ogni dollaro investito.

Siamo a disposizione per assistervi nell’implementazione di un programma per la sensibilizzazione dei lavoratori alla corretta alimentazione. E in generale per offrirvi consulenza sulla strategia da adottare per promuovere stili di vita sani in azienda. Per maggiori informazioni, contattaci. Ci trovi ad Arzignano, in provincia di Vicenza.

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