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Come recitava un vecchio slogan pubblicitario, prevenire è meglio che curare. Vale in tutti gli ambiti. Vale, soprattutto, quando si parla di sicurezza sul lavoro.
Dopo aver messo insieme, in un precedente articolo, tutti i pezzi del puzzle della sicurezza, andiamo ora ad approfondire l’immagine che abbiamo ottenuto. L’insieme di normative, valutazioni e buone prassi giocano un ruolo fondamentale nella prevenzione di rischi e pericoli per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Ma cosa s’intende per prevenzione sul lavoro e come si attua concretamente in azienda? Scopriamolo insieme.

Prevenzione sul lavoro: definizione

Il concetto di prevenzione sul lavoro è definito dall’art. 2 del D. Lgs. 81/08. Si tratta del complesso di disposizioni e misure necessarie per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e  dell’integrità dell’ambiente esterno.
La prevenzione della sicurezza sul lavoro si ricollega agli obblighi che un datore di lavoro deve rispettare nei confronti dei suoi dipendenti e collaboratori per ridurre il numero di possibili infortuni. Nello specifico, la normativa stabilisce che il titolare di un’azienda è tenuto a mettere in campo tutte le azioni di prevenzione adeguate ai possibili rischi dell’attività lavorativa specifica. Ciò in modo tale da eliminare o ridurre il più possibile gli incidenti sul luogo di lavoro (detto che il rischio zero non esiste).
Le principali misure di prevenzione che si devono adottare partono da una valutazione dei rischi dell’attività con la redazione del Documento di valutazione dei rischi (DVR). Altrettanto importanti sono la formazione e il continuo aggiornamento, in tema di sicurezza del lavoro, per tutti i lavoratori. Infine, la prevenzione sul lavoro si attua anche nell’ambiente dove si svolge l’attività lavorativa. Passa, per esempio, attraverso una corretta progettazione delle macchine e delle attrezzature per il lavoro e l’utilizzo di dispositivi di sicurezza.

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Sicurezza e prevenzione: il primo passo è la valutazione dei rischi

In tema di prevenzione sul lavoro, la valutazione dei rischi è un aspetto cruciale. Il datore è tenuto, per legge, a condurla in modo completo e accurato redigendo il DVR. Questa valutazione è un processo essenziale per identificare, valutare e gestire i rischi professionali che i lavoratori possono incontrare nei loro ambienti di lavoro e nelle diverse attività svolte. Esistono tre principali tipi di rischi professionali, ciascuno dei quali richiede una valutazione specifica.

La valutazione dei rischi è obbligatoria quando si costituisce una nuova impresa. In questo caso, il datore di lavoro deve avviare immediatamente il processo di valutazione dei rischi, anche se la stesura del DVR può avvenire entro 90 giorni dall’inizio dell’attività. La valutazione dei rischi è richiesta anche in caso di riorganizzazione della produzione, introduzione di nuove mansioni o cambiamenti significativi nell’organizzazione del lavoro. Inoltre, una nuova valutazione può essere necessaria in caso di infortuni sul lavoro o se i risultati della sorveglianza sanitaria rivelano la necessità di ulteriori misure preventive. La sorveglianza periodica è, pertanto, un elemento fondamentale nella prevenzione sul lavoro per garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.

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Il ruolo chiave dei lavoratori per la prevenzione sui luoghi di lavoro 

Ripetiamo spesso che, oggi più che mai, bisogna aumentare la cultura della sicurezza sul lavoro. In questo senso, la prevenzione sul lavoro è un gioco di squadra: tutto l’organigramma aziendale deve essere, infatti, coinvolto e sentirsi parte della “sfida sicurezza”.
Pensiamo, per esempio, ai dispositivi di protezione. Sappiamo che giocano un ruolo fondamentale nel ridurre l’esposizione dei lavoratori ai rischi professionali. Inizialmente, il datore di lavoro dovrebbe privilegiare l’adozione di dispositivi di protezione collettiva. Infatti, questi strumenti agiscono direttamente sulla sorgente del rischio e, quindi, contribuiscono in modo significativo a ridurlo.
Tuttavia, vi sono situazioni in cui questo potrebbe non essere sufficiente. Entrano in gioco, quindi, i dispositivi di protezione individuale (DPI). Questi devono rispettare alcune importanti caratteristiche: devono essere adatti alla tipologia di rischio professionale da prevenire e non devono aumentare il rischio. Inoltre, devono tener conto delle esigenze ergonomiche e della salute dei lavoratori, conformarsi agli standard qualitativi stabiliti dalla legge² ed essere adattabili alle condizioni di lavoro. Infine, i dispositivi di protezione devono essere personalizzabili per soddisfare le esigenze specifiche di ciascun lavoratore. L’efficacia dei DPI richiede soprattutto l’impegno attivo dei dipendenti, che devono saperli utilizzare in maniera corretta seguendo una specifica formazione e trattarli con cura per evitare danni o usura prematura. Nel caso di malfunzionamento o guasti, bisogna segnalarlo tempestivamente al datore di lavoro. I lavoratori devono contribuire attivamente alla sicurezza e alla prevenzione sul lavoro partecipando a corsi di formazione e sottoponendosi a visite mediche periodiche di sorveglianza sanitaria.

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La formazione: un asso nella manica

C’è, poi, la formazione dei lavoratori, un pilastro essenziale per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro. Non si tratta solo di ottemperare agli obblighi di legge: è un investimento strategico per un’azienda. Per ogni azienda.
Da questo punto di vista, la normativa prevede che un’adeguata formazione informi i lavoratori sui rischi ordinari, specifici e da interferenza associati al loro ambiente di lavoro. Inoltre, si devono ricevere istruzioni e addestramento su procedure di primo soccorso e antincendio. Come evidenziato in un precedente articolo dedicato al tema, la formazione generale e quella specifica costituiscono le fondamenta (obbligatorie) su cui poi va costruita la “casa della formazione”. Andranno, cioè, aggiunti i corsi specifici previsti da norme e accordi. La prevenzione sul lavoro si attua, insomma, anche attraverso una formazione e un aggiornamento puntuali in base al settore e alla mansione.

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NOTE
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La sicurezza sul lavoro, lo si ripete spesso, è qualcosa che si costruisce nel tempo, mattone su mattone. Ma anche, a ben vedere, mattoncino dopo mattoncino. Sì, parliamo proprio di Lego. Tutti noi, almeno una volta, ci siamo cimentati con i celebri mattoncini assemblabili dell’azienda danese, costruendo città e astronavi o replicando monumenti storici. Con i Lego si può davvero dare libero sfogo alla creatività, costruendo tutto ciò che l’immaginazione è in grado di inventare, a ogni età. Non tutti sanno, però, che i mattoncini colorati possono essere un prezioso alleato per plasmare la cultura della sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Come? Attraverso il metodo Lego Serious Play (LSP). Originariamente, questa metodologia era stata sviluppata per stimolare la creatività e la comunicazione all’interno dei diversi team aziendali. Oggi esistono dei veri e propri corsi Lego Serious Play per le figure preposte alla sicurezza sul lavoro. Scopriamo di più.

Lego Serious Play: un asso nella manica

La metodologia Lego Serious Play¹ è stata sviluppata all’inizio degli anni 2000 grazie alla collaborazione tra Lego Group e la business school IMD di Losanna. Questo approccio innovativo è stato progettato per potenziare l’innovazione e le prestazioni aziendali. Lego Serious Play vuole favorire l’apprendimento per affrontare sfide complesse nei contesti aziendali. Sfruttando i mattoncini colorati come strumento metaforico per l’espressione e la discussione, si ottiene una facilitazione e un’accelerazione dei processi decisionali.
Con Lego Serious Play, inoltre, l’apprendimento diventa più chiaro e concreto, consentendo una migliore comprensione dei concetti. Viene messa al centro la costruzione manuale di modelli tridimensionali che rappresentano il tema in questione, che può riguardare strategie e relazioni aziendali, relazioni o, appunto, la sicurezza sul luogo di lavoro.

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I 4 pilastri del corso Lego Serious Play

Attraverso l’utilizzo dei mattoncini Lego e i modelli creati con essi, i partecipanti ai corsi Lego Serious Play hanno l’opportunità di esprimere concetti e idee che spesso sono difficili da comunicare verbalmente. I Lego hanno la caratteristica unica di far emergere problemi e stimolare la ricerca di soluzioni. Le potenzialità dei mattoncini colorati, nell’ambito educativo, seguono il principio di “pensare con le mani” di Maria Montessori. Questo approccio è applicabile sia ai bambini sia agli adulti, poiché consente di affrontare una varietà di dinamiche attraverso un metodo che migliora la consapevolezza e la comprensione della comunicazione.
La struttura di un corso Lego Serious Play si basa su quattro fasi principali.

Questo ciclo di quattro fasi viene ripetuto più volte durante il corso, insieme ad altre attività, al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati.

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A chi si rivolge il metodo Lego Serious Play applicato alla SSL

Il corso Lego Serious Play applicato alla sicurezza sul lavoro disegna, dunque, una formazione “esperienziale” e partecipata. Si parte dall’approccio standard illustrato in precedenza, ma ogni corso viene progettato in base alle esigenze specifiche dell’azienda e del gruppo di partecipanti. È anche qui che risiede buona parte della sua efficacia.
I temi affrontati possono essere molteplici e la metodologia si applica a un’ampia varietà di situazioni negli ambiti della salute e della sicurezza sul lavoro. Da una gestione efficace dei near miss a come ottenere un DVR più efficace. Da una comunicazione più efficace alla gestione delle emergenze. Per la sua natura, Lego Serious Play è valido per l’aggiornamento delle varie figure preposte alla salute e alla sicurezza sul lavoro (datore di lavoro, dirigenti, preposti, RLS, RSPP/ASPP). È un’eccellente occasione, tuttavia, anche per formatori e facilitatori, aziendali e indipendenti.

Come funziona il corso Lego Serious Play

A guidare le sessioni di Lego Serious Play è un facilitatore, in possesso di apposita certificazione LSP necessaria per poter erogare il corso.
Dopo un’introduzione alla metodologia, vengono poste ai partecipanti delle domande specifiche che, nel nostro caso, hanno come tema portante la sicurezza sul lavoro. In risposta a ciascun quesito, i partecipanti creano una costruzione con mattoncini Lego che rappresenta la loro prospettiva sul tema. Una volta completata la costruzione, ciascuno spiega il significato della sua creazione e condivide il proprio punto di vista. Queste sessioni proseguono con una serie di domande che affrontano vari aspetti dell’attività di sicurezza sul lavoro, consentendo a ciascun partecipante di esprimere le sue opinioni e contribuire al processo di crescita dell’azienda. Da costruire mattone dopo mattone. Anzi, mattoncino dopo mattoncino.

NOTE

¹ Scopri di più: Lego Serious Play

L’inizio, sosteneva Platone, è la parte più importante del lavoro. Un assunto che resta valido anche oggi. Pensiamo all’avvio di una nuova azienda, che richiede una pianificazione accurata e attenzione a numerosi dettagli. Anche, e soprattutto, a livello di obblighi da rispettare in materia di salute e sicurezza. In questo articolo ci concentriamo proprio su questo aspetto, chiarendo quali sono i principali adempimenti sulla sicurezza sul lavoro che le aziende di nuova costituzione devono rispettare.

Quali sono gli adempimenti sulla sicurezza sul lavoro per le nuove aziende

Qualsiasi sia l’ambito e il settore di appartenenza, la sicurezza sul lavoro è una questione di importanza cruciale. Non si tratta solo di un obbligo sancito dal Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/08). Come evidenziato in un precedente articolo, la sicurezza sul lavoro va intesa come un investimento. Per tutti: datore di lavoro, dipendenti e collaboratori, per l’azienda stessa.
Delle varie figure chiave coinvolte nella gestione della sicurezza aziendale, molto è in capo al datore di lavoro, tra obblighi non delegabili e altri delegabili. È lui il principale responsabile della sicurezza in azienda, esercitando poteri decisionali e di spesa. Nello specifico, in caso di inizio di una nuova attività (o di ampliamento di una realtà già avviata), al datore di lavoro spettano vari compiti. Tra questi:

Qualora, poi, l’attività da avviare fosse ritenuta insalubre, sarà obbligatorio darne comunicazione allo Sportello Unico per le Attività Produttive, che provvederà alla trasmissione della pratica all’ASL per la proposta di classificazione. Inoltre, Il Testo Unico Ambientale indica che, per tutti gli stabilimenti che producono emissioni, debba essere richiesta una specifica autorizzazione¹.

Gli obblighi del datore di lavoro in materia di sicurezza

Accanto a questi obblighi per le aziende di nuova costituzione, esistono degli adempimenti sulla sicurezza sul lavoro che riguardano le aziende, indipendentemente dal loro ciclo di vita.
Tra questi, la valutazione dei rischi: è la prima, fondamentale misura generale di tutela dei lavoratori. Si tratta dell’obbligo più importante, poiché è in grado di identificare i rischi e di individuare le misure di sicurezza da adottare per prevenire infortuni e malattie professionali. Grazie al Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), obbligatorio in tutta le aziende con almeno un lavoratore, è possibile svolgere un’analisi dettagliata e sistematica dei potenziali pericoli e delle misure preventive da adottare per mitigarli. Tale documento, lo ricordiamo, è da aggiornare ogniqualvolta vengano, per esempio, introdotti nuovi macchinari o significative modifiche al processo produttivo. Inoltre, tra gli adempimenti per la sicurezza sul lavoro che il datore di lavoro deve garantire vi sono le:

Il datore di lavoro, dunque, è chiamato a creare condizioni di lavoro conformi agli standard di sicurezza. Ciò include anche l’adozione di idonei presidi di sicurezza come DPI, mezzi estinguenti e cassette di primo soccorso.

LEGGI ANCHE: DVR: come e quando valutare il rischio

Check list degli adempimenti per la sicurezza sul lavoro

Gli adempimenti per la sicurezza sul lavoro obbligatori, abbiamo visto, sono numerosi e riguardano ogni aspetto della sicurezza aziendale. A volte, specie in caso di avvio di una nuova attività, il dedalo di normative da rispettare e documentazioni da produrre può rappresentare uno scoglio per un imprenditore. Con l’aggiunta che, in caso di errore o dimenticanze, il conto rischia di essere salato, non solo dal punto di vista economico. Sapevi, per esempio, che la mancata elaborazione del DVR può determinare la sospensione dell’attività imprenditoriale? Uno stop, proprio all’inizio di una nuova avventura, non è proprio il massimo.
È qui che entrano in gioco i consulenti e_labo. In vista del sopralluogo presso la sede di un’azienda, ci avvaliamo di una check list. Si tratta di uno strumento pratico che fornisce un elenco dettagliato dei principali adempimenti per la sicurezza sul lavoro da rispettare e dei documenti fondamentali da avere in azienda, definendo e condividendo lo stato dell’arte. Dal CPI, se presente, all’agibilità, dalla dichiarazione di conformità degli impianti elettrico e termoidraulico al registro delle verifiche periodiche. Passando, tra gli altri, per l’elenco dei prodotti chimici in uso, i manuali d’uso e manutenzione dei macchinari, le valutazioni dei rischi specifiche. Tale strumento consente di applicare correttamente le procedure lavorative rilevando eventuali problematiche in grado di compromettere la sicurezza. La check list non è vincolante, ma può costituire un utile metodo di autovalutazione.

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NOTE

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¹ Per approfondire: Autorizzazione alle emissioni in atmosfera

Materiali isolanti come schiume poliuretaniche, ma anche plastica, vernici e pitture. È lunga la lista dei prodotti che contengono diisocianati. Come pure quella degli ambiti in cui questi composti chimici trovano applicazione. Essendo alla base della produzione di oggetti e materiali in poliuretano, infatti, i diisocianati sono utilizzati in un’ampia gamma di settori. Ed è proprio per le aziende di tali settori che, con la pubblicazione della modifica del Regolamento REACH, dal 24 agosto 2023 scatta l’obbligo di formazione sui diisocianati.

Diisocianati: cosa sono

Edilizia, automotive, ma anche industria della plastica: sono solo alcuni degli ambiti in cui i diisocianati vengono abitualmente utilizzati.
Si tratta di un ampio gruppo di composti chimici a cui, secondo la valutazione d'impatto della Commissione Europea, sarebbero esposti oltre 4 milioni di lavoratori. Numeri che impongono una riflessione. L’esposizione professionale ai diisocianati è, infatti, per gli esperti, tra le principali cause di sviluppo dell’asma in età lavorativa.
Il regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio¹ li classifica come sensibilizzanti delle vie respiratorie e della pelle di categoria 1. Una sensibilizzazione ritenuta particolarmente grave, finanche irreversibile e invalidante, specie nei processi di nebulizzazione, schiumatura o in applicazioni a caldo. In queste lavorazioni, le molecole di diisocianati possono diventare particolarmente volatili, rischiando dunque di essere inalate o assorbite dalla cute.

LEGGI ANCHE: Scenari di esposizione e valutazione del rischio chimico

Modifica del Regolamento REACH: ecco cosa cambia

Con la pubblicazione della modifica del Regolamento REACH², all'interno dell’allegato XVII è stata introdotta la Restrizione n.74 relativa all’uso e immissione sul mercato di prodotti a base di diisocianati.
Secondo quanto previsto dall’atto normativo, tutti i lavoratori che manipolano prodotti contenenti diisocianati in concentrazione superiore allo 0,1% in peso, sono tenuti a frequentare uno specifico corso di formazione. Ma non è tutto. Oltre all’obbligo di formazione sui diisocianati, con la modifica del regolamento, dal febbraio dello scorso anno, non è più possibile immettere sul mercato diisocianati intesi come costituenti di altre sostanze o in miscele per usi industriali e professionali. Questo a meno che:

Sull’imballaggio, inoltre, deve essere riportata la dicitura: “A partire dal 24 agosto 2023 l’uso industriale o professionale è consentito solo dopo aver ricevuto una formazione adeguata”.

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Obbligo formazione diisocianati: cosa sapere

Quando si impiega un prodotto chimico, oltre a sapere se sia o no pericoloso, è indispensabile conoscere l’entità del rischio a cui espone e le cautele necessarie alla sua manipolazione. Ecco perché la formazione sui diisocianati è fondamentale.
Come anticipato, entro il 24 agosto 2023, i lavoratori dipendenti, così come quelli autonomi e quelli che, pur non direttamente, sono incaricati della supervisione di tali attività, sono tenuti all’obbligo di formazione sui diisocianati. Il datore di lavoro (e il lavoratore autonomo), dal canto suo, deve garantire che gli utilizzatori industriali o professionali abbiano completato con esito positivo il corso sull’uso di questi composti.
Si tratta di corsi formativi, erogabili anche online, che prevedono un modulo di formazione generale ed eventuali moduli intermedi ed avanzati per determinati utilizzi. Una specifica formazione, dunque, che deve essere tenuta da esperti in materia di salute e sicurezza sul lavoro e che va rinnovata almeno ogni cinque anni.

NOTE

¹ Regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio
² Regolamento (UE) 2020/1149 della Commissione

Torniamo ad occuparci di acido solfidrico. Come abbiamo ampiamente visto in un precedente articolo, questo gas, conosciuto anche come idrogeno solforato, è molto pericoloso in ambito professionale, in particolare nel settore della concia.
Si tratta, infatti, di un gas tossico e infiammabile. Sua caratteristica peculiare è il classico odore di uova marce che si verifica, però, solamente quando esso è presente a bassa concentrazione. Il vero problema nasce quando l’odore sparisce: è in questo preciso istante che il rischio si acuisce perché la concentrazione di acido solfidrico è aumentata. Per evitare situazioni potenzialmente drammatiche, bisogna prevenire. Il primo passo è fare un’attenta valutazione del rischio, oltre a seguire le regole di sicurezza e utilizzare i dispositivi di protezione personale più idonei.

Acido solfidrico: come si forma e dove si trova

L’acido solfidrico è una minaccia in vari ambiti industriali: dall’agricoltura alla metallurgia fino al settore alimentare. È, però, l’industria conciaria il comparto dove i rischi sono maggiori. Questo perché, all’interno di una conceria, sono diverse le fasi dove questo gas-killer può formarsi.
Per esempio, nei bottali durante la calcinazione, macerazione e piclaggio. Nella fase di calcinazione, la pelle grezza viene posta in un bottale con calce e solfuro di sodio per eliminare il pelo. Nella fase di piclaggio, precedente la concia, la pelle diventa più acida. Con l’acidificazione si liberano dei solfuri che sono rimasti dopo le fasi di calcinazione e macerazione. Si viene, quindi, a produrre una forte concentrazione di acido solfidrico. I bottali devono essere dotati di un idoneo impianto di aspirazione e abbattimento del gas.
Altra fattispecie da tenere sott’occhio è il contatto tra acque acide e basiche. Nelle canalette di scolo, dove fuoriesce l’acqua usata inizialmente per togliere il pelo dalla pelle, rimangono residui di solfuro. Nelle fasi successive della concia e della tintura, può capitare che vi sia un contatto tra l’acqua acida utilizzata nelle ultime fasi e i residui di solfuro e solfidrato. Questo contatto tra sostanze acide e basiche porta allo sviluppo di acido solfidrico.

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Attenzione massima in magazzino e negli spazi confinati

In conceria, ma non solo, particolare attenzione va posta per tutte quelle attività che si svolgono in spazi confinati e all’interno dei magazzini.

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Il primo passo: sopralluogo in azienda

La valutazione della presenza di acido solfidrico consta di diverse fasi. E ha una parola d’ordine: sinergia. Il nostro lavoro, infatti, unito allo sforzo del datore di lavoro nel valutare tutti i rischi possibili in azienda, è fondamentale per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Il primo passo che compiamo è il sopralluogo in azienda, in particolare nei luoghi dove l’acido solfidrico può svilupparsi. Essendo un nemico silenzioso e invisibile, utilizziamo uno specifico strumento per il rilevamento di questo gas. Il dispositivo viene tarato fino a 10 ppm, ovvero il limite a cui un operatore può essere esposto per un massimo di 8 ore al giorno senza rischi per la salute.
Si va poi a verificare se l’azienda è munita di dispositivi e strumenti obbligatori per prevenire il rischio. In primis, la presenza di un impianto di aspirazione e abbattimento gas e l’obbligo di utilizzo di dispositivi di protezione personale, con disposizioni e regole ben precise.

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Impianto di aspirazione: manutenzione e controllo regolari

Restando in conceria, per quanto riguarda la liberazione dell’acido solfidrico nei bottali durante le fasi di calcinazione, macerazione e piclaggio si ritiene che il mezzo di sicurezza più idoneo sia quello di aspirare e abbattere i gas che si formano nel bottale.
L’impianto di aspirazione costituisce il sistema principale di sicurezza per gli addetti alla lavorazione e, pertanto, deve essere provvisto di segnalazione e allarme. Al fine di garantirne il corretto funzionamento, deve essere mantenuto in efficienza tramite manutenzione programmata, da registrare in un apposito libretto. L’aspirazione serve principalmente a proteggere l’ambiente esterno. All’interno del bottale la concentrazione, pur ridotta di 20-30 volte, rimane sempre pericolosa, e pertanto ciascun operatore deve essere dotato di una maschera individuale con filtro specifico. È molto importante, poi, rispettare alcune macro regole durante le fasi di calcinazione, macerazione e piclaggio. Ovvero:

L’impianto deve essere controllato con cadenza giornaliera. Ogni 7 giorni bisogna, invece, eseguire la pulizia del condotto e ogni 3 mesi sottoporlo a controlli più approfonditi. Non è tutto. Ogni 6 mesi bisogna, ancora, controllare  la portata nei singoli bottali e tutto l’impianto di aspirazione, annotando su un apposito registro le prove e gli eventuali interventi fatti.

Consulta la check list per il programma di controllo e manutenzione ordinaria per l’impianto di abbattimento Idrogeno

L’importanza del filtro-maschera

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, se si vuole sconfiggere l’acido solfidrico, il lavoratore deve sempre proteggersi indossando una maschera con filtro. In base alla tipologia di inquinante, i respiratori a filtro si dividono in:

Parlando di acido solfidrico, ci concentriamo sui filtri anti-gas. Questi sono costituiti da cartucce contenenti sostanze che trattengono i gas e i vapori nocivi. Nei filtri antigas non si può parlare di efficienza di filtrazione in quanto trattengono completamente l’inquinante fino all’esaurimento. La quantità di gas trattenuta dipende non solo dalla quantità e dal tipo del materiale adsorbente, ma anche dalla concentrazione ambientale dell’inquinante e dalla capacità respiratoria del soggetto che indossa la maschera, nonché dallo sforzo compiuto durante il lavoro.
Esistono 5 fasce di colori diversi per differenziare le varie tipologie di maschera anti-gas. Nello specifico, un lavoratore in conceria dovrà indossare una maschera con filtro antigas di tipo b di fascia grigia, in grado di proteggere da gas e vapori inorganici, come l’idrogeno solforato. L’efficienza filtrante di un dispositivo anti-gas è determinata, essendo l’efficienza del filtro del 100%, dal tipo di maschera e non dal filtro utilizzato. Quindi, se si vuole aumentare il livello di protezione del dispositivo bisogna utilizzare una maschera che ricopra tutta la faccia con filtri, garantendo una migliore tenuta al volto.

L’acido solfidrico? Non è invincibile

L’acido solfidrico è un gas asfissiante, molto pericoloso e  in grado anche di uccidere. Ma non è invincibile. Come spiegano i colleghi di Pragma Chimica, nel caso fosse già presente, infatti, l’acido solfidrico può essere eliminato. Per esempio, tramite uno speciale trattamento ossidativo a effetto curativo. L’applicazione viene modulata in funzione del problema da risolvere, studiando l’uso dei prodotti chimici più idonei. Esistono anche altri sistemi per rimuovere l’acido solfidrico, tra cui la desolforazione biologica e l'adsorbimento (fisico, chimico o in schiume). Ma, come sempre, la prevenzione fa la differenza.

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La certificazione della parità di genere oggi è un trend topic. Negli anni l’attenzione sul tema della parità tra donne e uomini rispetto a diritti, trattamento, responsabilità, opportunità e risultati economici e sociali è aumentata. Come anche le iniziative di sensibilizzazione e le misure adottate dalle aziende. Certo, la strada è ancora lunga, almeno in Italia: in base al Gender Equality Index 2022¹, siamo al 14° posto nell’UE a livello di uguaglianza di genere. Si viaggia sotto di 3,6 punti rispetto alla media europea. Nonostante dal 2010 il punteggio dell’Italia sia aumentato di quasi 12 punti, è proprio la sfera del lavoro quella dove più c’è da fare. Dal 2019, infatti, il punteggio dell’Italia è diminuito di 0,5 punti e, con 63,2 punti, ci colloca all’ultimo posto tra i 27 Stati membri. Ciò, principalmente, per gli ancora alti livelli di disuguaglianza di genere in ambito professionale. Insomma, c’è da rimboccarsi le maniche.

Riferimenti normativi e prassi di riferimento

Equità salariale, politiche paritetiche di formazione, accesso al lavoro e avanzamento di carriera, ma anche attenzione alla genitorialità, work life balance ed empowerment femminile Sono solo alcune delle aree di valutazione previste dal Sistema di certificazione della parità di genere alle imprese, introdotto dal PNRR e disciplinato dalla legge n. 162 del 2021 (legge Gribaudo)².
Per spronare le imprese all’adozione di policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree maggiormente critiche per la crescita professionale delle donne, il Sistema prevede un principio di premialità che si realizza con meccanismi di incentivazione. Di fatto, alle aziende private in possesso della certificazione della parità di genere viene concesso un esonero dal versamento di una percentuale dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro. Per ottenere la certificazione, si deve implementare un sistema di gestione per la gender equality secondo i parametri definiti dalla prassi UNI/PDR 125:2022rilasciata da un organismo di certificazione accreditato. La prassi prevede l’adozione di specifici indicatori prestazionali (KPI), che permettono la misura, la rendicontazione e la valutazione dei dati nelle organizzazioni con l’obiettivo di colmare i gap esistenti.

Certificazione della parità di genere: di cosa si tratta

La certificazione avviene su base volontaria e su richiesta dell’impresa. Non c’è, dunque, attualmente alcuna obbligatorietà: si tratta, però, di una grande opportunità. Come indicato dalle linee guida della prassi di riferimento UNI/PDR 125:2022³, per ottenere la certificazione, l’azienda deve dimostrare il rispetto di una serie di indicatori di prestazione. Sono state individuate, nello specifico, 6 aree attinenti alle differenti variabili che possono contraddistinguere un’organizzazione inclusiva e rispettosa della parità di genere nel lavoro. Ovvero:

Ogni area è contraddistinta da un peso percentuale (fatto 100 il totale del peso delle differenti aree). Questo contribuisce alla misurazione del livello as-is dell’organizzazione e rispetto al quale sono misurati gli stati di avanzamento costanti nel tempo. Per ciascuna area di valutazione sono stati identificati specifici KPI, di natura quantitativa e qualitativa. Con questi si misura il grado di maturità dell’organizzazione attraverso un monitoraggio annuale e una verifica ogni due anni. Il rispetto di almeno il 60% dei traguardi previsti nei vari ambiti consentirà all’azienda di ottenere la certificazione della parità di genere, che ha dunque validità triennale.

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Le opportunità per l’impresa

Un’opportunità, si diceva, a tutto tondo: per migliorare l’equità lavorativa e la qualità stessa del lavoro femminile. Ma anche, più ampiamente, per rafforzare l’immagine e la reputazione aziendale.
In più, come anticipato, c’è anche la possibilità di accedere a incentivi ed esoneri contributivi. La Circolare INPS numero 137⁴ dello scorso dicembre indica le modalità per la fruizione dell’esonero contributivo da parte dei datori di lavoro privati in possesso della certificazione sulla parità di genere. L’esonero viene calcolato sulla contribuzione previdenziale complessivamente dovuta dal datore di lavoro, in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui.
Per le sole piccole medie e micro imprese sono previsti due contributi. Uno, fino a 2.500 euro, è coordinato dal Dipartimento ministeriale e supporta i servizi di assistenza tecnica e accompagnamento alla certificazione. L’altro, fino a 12.500 euro, è erogato direttamente dagli organismi di certificazione, e sostiene i costi necessari per la certificazione stessa (fino a 12.500 euro).

Come ottenere la certificazione

Questione tempistiche. Per l’anno 2022, la partita, ahinoi, è chiusa. Le domande volte al riconoscimento dell’agevolazione potevano essere presentate dai datori di lavoro in possesso della certificazione entro il 31 dicembre 2022 fino al 15 febbraio 2023. Già da ora, però, ci si muovere per farsi trovare pronti il prossimo anno. L’orizzonte, infatti, è di medio-lungo periodo. Tenendo anche conto che è in corso una Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 che punta a ottenere, tra l’altro, l’incremento di 5 punti nella classifica del già citato Gender Equality Index.

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FONTI

¹ Gender Equality Index 2022, European Institute for Gender Equality

² L’articolo 4 della legge 162/2021 ha previsto l’inserimento nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna l’istituzione della cosiddetta “certificazione della parità di genere”, a decorrere dal 1° gennaio 2022

³ Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere, UNI/PDR 125:2022

Circolare numero 137 del 27-12-2022

Non esiste sicurezza senza formazione, soprattutto quando si parla di lavoro. Prevenzione è la parola d’ordine. Il rischio d’infortuni sul lavoro non potrà mai essere portato allo zero. Tuttavia, una formazione continua e aggiornata consente di ridurre al minimo questo rischio. In tal senso, l’esperienza ci insegna che la cultura della prevenzione e, appunto, un’adeguata formazione fanno la differenza. A tal proposito, il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro afferma che il datore di lavoro deve assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza. I corsi obbligatori di sicurezza sul lavoro offrono ai dipendenti quelle conoscenze e abilità necessarie per prevenire incidenti e infortuni. Garantiscono, inoltre, che l’azienda rispetta le leggi sulla sicurezza sul lavoro. Insomma, mai come in questo caso, obbligo fa rima con opportunità.

Formazione generale e specifica

I corsi obbligatori di sicurezza sul lavoro si dividono in due moduli. Il primo è più generico e dura 4 ore. Propone una formazione generale sulla normativa di riferimento, sui concetti di rischio, danno, prevenzione e protezione. Prevede anche approfondimenti sull’organizzazione della prevenzione aziendale e su diritti, doveri (e sanzioni) per i vari soggetti coinvolti.
Il secondo modulo è più specifico e la sua durata varia dalle 4 alle 12 ore. Questo in relazione al rischio dell’attività lavorativa (basso, medio, alto), basata sul codice ATECO¹, e sulla mansione del lavoratore. I due moduli sono fruibili in parte anche in modalità e-learning: in particolare, la formazione generale e quella specifica a rischio basso.

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I corsi obbligatori di sicurezza sul lavoro

La formazione generale e quella specifica costituiscono le fondamenta su cui poi va costruita la “casa della formazione”. Andranno, cioè, aggiunti i corsi specifici previsti da norme e accordi. È il caso, per esempio, della formazione obbligatoria per gli addetti ai lavori elettrici, per la gestione e preparazione del trasporto su strada di merci pericolose o, ancora, per chi opera in spazi confinati. Vediamo, a questo punto, quali sono i corsi sulla sicurezza obbligatori.

Primo soccorso

Come previsto dal D.Lgs 81/08, il datore di lavoro è tenuto a designare una o più figure che ricoprano il ruolo di addetti al primo soccorso. Il corso fornisce le competenze di base sulle modalità per l’attivazione del sistema di soccorso e l’attuazione delle manovre di primo soccorso. Si divide in 3 moduli, di durata e approfondimento differente in base al gruppo aziendale di appartenenza: Modulo A 16 ore, Modulo B e C 12 ore. Per tutti i livelli, l’aggiornamento deve essere fatto ogni 3 anni.

Prevenzione incendi

I corsi antincendio sono obbligatori per tutte quelle attività con almeno un dipendente o collaboratore. Il datore di lavoro deve designare uno o più lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze. I contenuti della formazione e la relativa durata dei corsi differiscono a seconda del livello di rischio: 4 ore per il livello 1 (rischio basso), 8 per il livello 2 (rischio medio), 16 per il livello 3 (rischio alto). Per tutti, l’aggiornamento è quinquennale, in attuazione del DM 2 settembre 2021.

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Corsi sicurezza obbligatori per RSPP e RLS

La sicurezza in azienda prende forma e viene garantita da apposite figure chiave. Due di queste sono il Responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP) e il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Anche loro, per la delicata natura del ruolo e per le importanti responsabilità, sono tenuti a una formazione obbligatoria.

Corso Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP)

Il Responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP) è colui che, attraverso le opportune conoscenze, garantisce la sicurezza sul luogo di lavoro. Questo incarico può essere ricoperto dal datore di lavoro o da una figura, interna o esterna, da lui nominata. Il corso di formazione obbligatorio ha una durata per il datore di lavoro tra le 16 e le 48 ore, in base al livello di rischio presente in azienda. Per una figura interna o esterna il corso RSPP si sviluppa nel modulo A-B-C che può essere superiore alle 100 ore. Va rinnovato ogni 5 anni.

Corso Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS)

Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) è la persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quel che concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro. Servono conoscenze specifiche per sviluppare e affinare quelle abilità diagnostiche decisionali e relazionali/comunicative necessarie per un’ottimale gestione del ruolo. Ecco spiegato perché il corso dura 32 ore e ha validità solo annuale.
Il RLS non vigila sull’applicazione delle misure di sicurezza: questo è, invece, il compito del Preposto, la cui formazione è resa obbligatoria dal decreto legge n. 146/2021 (decreto fiscale) coordinato con la legge di conversione n. 215/2021.

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Quando deve avvenire la formazione obbligatoria di sicurezza?

La formazione obbligatoria dei lavoratori deve essere erogata in momenti specifici. Il primo è all’inizio del rapporto di lavoro. Il nuovo dipendente deve compiere la formazione base di sicurezza sul lavoro (generale+specifica) entro i 60 giorni successivi all’assunzione. Una nuova informazione, formazione e addestramento dovranno essere eseguiti in caso di cambio mansione o reparto. Va, inoltre, prevista una formazione qualora si registri l’arrivo di nuove macchine, nuove tecnologie o nuove sostanze pericolose. La formazione obbligatoria deve sempre avvenire nel corso dell’orario lavorativo. Compito del datore di lavoro è organizzare questi corsi e garantire la partecipazione dei dipendenti.

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Il corso non viene garantito? Occhio alle sanzioni

L’articolo 55 del D.Lgs 81/08 stabilisce quali sono le sanzioni in caso di mancato rispetto della normativa in merito alla formazione dei lavoratori in tema di sicurezza.

Ancora, se al RLS non viene consentito di partecipare alla formazione obbligatoria, le sanzioni prevedono l’arresto da 2 a 4 mesi oppure ammenda variabile tra i 2.740 € e i 7mila euro.

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NOTE:

¹ Per saperne di più: Classificazione delle attività economiche ATECO

Come abbiamo visto in un precedente articolo, il DVR è il documento fondamentale per la valutazione rischi sul lavoro. Grazie a esso, infatti, il datore di lavoro può adottare tutte le misure necessarie per tutelare i propri dipendenti. Il documento di valutazione dei rischi ha la funzione di riportare in maniera dettagliata tutti i possibili rischi professionali a cui i lavoratori sono esposti durante la loro attività. Oltre al DVR, un altro documento di valutazione rischi di notevole importanza è il DUVRI, che viene redatto quando ci sono possibili rischi da interferenza. Prima di scoprire il DUVRI come modello di valutazione dei rischi, facciamo chiarezza su cosa si intende per rischi da interferenza e lavori in appalto.

Lavori in appalto: il nodo interferenze

Il prototipo dei rapporti che si creano tra più aziende per l’esecuzione di opere e servizi è rappresentato dall’appalto. Si tratta di un contratto con cui un richiedente affida a un impresario il compimento di un’opera. I requisiti per cui si verifichi l’appalto sono:

I rischi da interferenza nascono proprio da quest’ultimo punto. Si tratta di un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore. Questo si può verificare quando i lavoratori di due o più aziende diverse si trovano a svolgere mansioni differenti all’interno della medesima area. In questo caso si può creare un’interferenza dovuta al fatto che l’attività lavorativa di un’azienda può influenzare negativamente le condizioni di sicurezza degli operai dell’altra.
Per evitare che ciò avvenga, viene redatto il DUVRI, nel quale vengono riportati tutti i rischi correlati all’affidamento di appalti all’interno dell’azienda produttiva. La valutazione dei rischi da interferenza deve pervenire non solo ai lavoratori interni, ma anche a tutti gli utenti che possono essere presenti nel cantiere durante i lavori. Come precisa l’art. 26 del D.Lgs 81/2008, l’obbligo di redazione DUVRI spetta al committente dell’opera.

LEGGI ANCHE: DVR, DUVRI (e POS): che differenza c’è tra questi documenti?

I principali obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione

Giacché stiamo parlando dei contratti d’appalto, riepiloghiamo i principali obblighi connessi al contratto d’appalto. Come indicato dal D.Lgs 81/2008, occorre:

Inoltre, i datori di lavoro devono cooperare per la prevenzione di rischi di incidenti, coordinando gli interventi di protezione per i lavoratori esposti. Devono anche informarsi reciprocamente per evitare rischi dovuti alle interferenze tra i dipendenti delle diverse imprese.

LEGGI ANCHE: I documenti fondamentali da avere in azienda: ecco la check list 

Il modello di valutazione dei rischi DUVRI

Il Documento unico di valutazione dei rischi da interferenza (DUVRI) fornisce una visione esaustiva e sistematica per l’organizzazione e la gestione delle attività in appalto durante le attività di produzione. Si tratta di un riferimento prezioso per le ditte appaltatrici e, per questo, va costantemente aggiornato durante l’esecuzione delle attività. L’obiettivo che si pone questo documento è identificare puntualmente le possibili interferenze che si potrebbero venire a creare nell’esecuzione degli appalti, e i rischi derivanti connessi. Andando a definire le misure di prevenzione e protezione al fine di ridurre o eliminare le interferenze stesse.
La redazione del DUVRI deve rispecchiare le norme ai sensi del Decreto legislativo del 18 aprile 2016 n.50¹. Esistono dei casi in cui la redazione del DUVRI è obbligatoria. La Determinazione dell’autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di Lavori, Servizi e Forniture n.3 del 5 marzo 2008², infatti, ha asserito che la compilazione del documento unico di valutazione dei rischi va eseguita solo nei casi siano presenti delle interferenze. Nello specifico possiamo considerare rischi interferenti quelli che:

Non è, invece, obbligatorio redigere il DUVRI in caso di appalti di servizi di natura intellettuale, qualora vi sia mera fornitura di materiali o attrezzature. Come pure in caso di lavori o servizi di durata non superiore a 5 uomini giorno, a patto che essi non comportino rischi derivanti dal rischio d’incendio di livello elevato.

Il DUVRI in cantiere

Per comprendere meglio il documento di valutazione dei rischi nei lavori in appalto, vediamo cosa succede nei cantieri edili. L’obbligo di redazione del DUVRI nel campo della cantieristica avviene quando si verificano tre condizioni

  1. non si può nominare il coordinatore per la sicurezza e quindi non si può redigere il PSC, che verrà sostituito dal documento di valutazione dei rischi.
  2. Il committente delle opere deve essere “qualificato”, quindi può essere anche un datore di lavoro. In questo caso, l’imprenditore avrà la disponibilità giuridica del luogo dove si svolgono i lavori.
  3. La durata dei lavori non deve essere superiore ai cinque uomini giorno, ovvero a 40 ore di lavoro (8 ore per 5 lavoratori). In caso contrario, il DUVRI non va compilato, a meno che questi lavori non comportino un rischio d’incendio, si svolgano in ambienti  confinati o in quota.

Una volta verificate queste tre condizioni nel cantiere edile, il DUVRI riporterà solo un obbligo formale: dovrà essere allegato al contratto di appalto e mantenuto in continuo aggiornamento. Inoltre, il documento di valutazione dei rischi dovrà essere redatto prima dell’inizio dei lavori. Ciò in modo tale da scongiurare qualsiasi tipo di situazione che possa mettere in pericolo i lavoratori.

NOTE

Foto in evidenza: Freepik

¹ Decreto legislativo del 18 aprile 2016 n.50

² Determinazione dell’autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di Lavori, Servizi e Forniture n.3 del 5 marzo 2008

La comunicazione è una componente fondamentale in qualsiasi realtà di successo. È un dato di fatto. Non contano, per una volta, il settore produttivo o la tipologia di beni o servizi offerti. L’efficacia di un buon processo di comunicazione, infatti, è essenziale per lo scambio d’informazioni tra i soggetti coinvolti nell’attività di ogni impresa, a tutti i livelli. Non fa eccezione l’ambito della salute e sicurezza sul lavoro. Considerando che ogni 15 secondi, nel mondo, 153 lavoratori s’infortunano sul lavoro¹, si può facilmente comprendere come prevenzione e formazione siano fondamentali. Tuttavia, soltanto attraverso un’efficace comunicazione nella sicurezza sul lavoro sarà possibile prendere coscienza dei rischi e programmare la prevenzione in azienda.

L’importanza della comunicazione nella sicurezza sul lavoro

Perché la comunicazione della sicurezza sul lavoro funzioni, questa deve essere efficace. Così come tutti i processi necessari al buon funzionamento dell’impresa, anche quello di comunicazione ha bisogno di essere stabilito, messo in pratica e mantenuto nel tempo. Al bando, quindi, iniziative individuali e prive di direttive.
Il Decreto legislativo 81/2008 sottolinea la necessità di informare e formare i lavoratori sui rischi, ricordando che le informazioni devono essere comprensibili per i lavoratori. Senza la conoscenza dei protocolli da seguire o di specifiche informazioni sulla sicurezza, infatti, non sarà possibile avere le risorse per sapere cosa fare o per segnalare incidenti in tempo reale. È, dunque, fondamentale comunicare tutte le informazioni che consentono di lavorare in piena sicurezza. Per farlo, sono importanti le modalità e i canali utilizzati per trasmettere le informazioni in modo chiaro e comprensibile.

LEGGI ANCHE: Manutenzione in azienda: strumenti per la sicurezza sul lavoro

Ne parla anche la UNI ISO 45001:2018

Si tratta di concetti di cui la UNI ISO 45001:2018 rimarca l’importanza. La norma internazionale specifica i requisiti per il sistema di gestione per la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (SSL). Il fine è quello di consentire alle organizzazioni di predisporre luoghi di lavoro sicuri e salubri, migliorando proattivamente le prestazioni della SSL. Tra i fattori indispensabili per l’organizzazione, al punto 7.4 la norma inserisce proprio la comunicazione. In particolare, è responsabilità dell’organizzazione stabilire:

Un’efficace comunicazione nella sicurezza sul lavoro deve nascere da un’interazione reciproca. Momenti di dibattito, dialogo e scambi di informazioni tra datori di lavoro, dipendenti e rappresentanti dei lavoratori, dunque, devono essere necessariamente previsti per sviluppare un corretto approccio nella gestione della sicurezza.

Comunicazione sicurezza sul lavoro

Comunicazione sicurezza sul lavoro: la partecipazione attiva dei dipendenti

Assieme a formazione e informazione, la comunicazione è uno strumento di gestione fondamentale per incentivare comportamenti sicuri nei luoghi di lavoro. Per far ciò, è necessario che i principi alla base di una comunicazione efficace debbano essere rispettati. Partendo dal coinvolgimento attivo di personale e dipendenti. Per i datori di lavoro una partecipazione condivisa significa ricevere aiuto nell’individuazione dei problemi e nella ricerca delle soluzioni. Dal canto loro, i lavoratori hanno un ruolo non secondario nella comunicazione della sicurezza sul lavoro: la prevenzione di possibili infortuni passa anche da loro.
È un concetto supportato da uno studio dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, in cui è stato dimostrato che gli interventi di salute e sicurezza che coinvolgono da vicino i lavoratori sono più redditizi². Tuttavia, per promuovere una cultura della sicurezza, è necessaria una comunicazione bidirezionale. Dipendenti, datori di lavoro e rappresentanti dei lavoratori devono:

La piena partecipazione, inoltre, non si limita alla consultazione, ma prevede che lavoratori e rappresentanti siano coinvolti nei processi decisionali dell’azienda. Allo stesso modo, tra le attività da fare in ambito sicurezza, c’è quella di comunicare in modo efficace il rischio. Per evitare situazioni in cui in azienda ci siano problemi nel recepire correttamente una comunicazione, è importante tarare il messaggio in funzione del proprio interlocutore.

LEGGI ANCHE: Metodo BBS: la sicurezza che parte dai comportamenti

Le responsabilità del datore di lavoro

Abbiamo detto che i datori di lavoro devono promuovere una cultura della sicurezza che incentivi la partecipazione e la comunicazione dei dipendenti. Allo stesso tempo, però, i datori di lavoro sono tenuti a considerare i propri lavoratori parte integrante del sistema aziendale. Saranno, quindi, tenuti a garantire una formazione adeguata a dirigenti, supervisori e rappresentanti dei lavoratori. Durante la consultazione, inoltre, si dovranno stabilire accordi volti a incoraggiare la partecipazione di lavoratori e rappresentanti alle decisioni in ambito sicurezza. Infine, affinché la comunicazione nella sicurezza sul lavoro si svolga al meglio, è necessario incoraggiare il dialogo aperto tra le parti. Concedendo a tutti la possibilità di basarsi su accordi che permettano la loro piena partecipazione.

NOTE

¹ Fonte: Organizzazione internazionale del lavoro

² The business case for safety and health: Cost–benefit analyses of interventions in small and medium-sized enterprises

D.Lgs. 81/2008: è quasi una mini riforma. L’approvazione in via definitiva della conversione in legge del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146¹ introduce molte e sensibili novità in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Dal nuovo ruolo del preposto all’obbligo formativo del datore di lavoro. Vediamo come cambia il Testo Unico sulla sicurezza e quali sono i principali nuovi obblighi cui le aziende sono tenute ad uniformarsi.

D.Lgs. 81/2008: una piccola rivoluzione

Si mette, dunque, nuovamente mano al Testo Unico sulla sicurezza. Del resto, il lavoro è materia viva. E tale è anche la tutela della salute e della sicurezza. Ecco spiegato perché regolarmente vi sono aggiustamenti, migliorie, implementazioni delle norme. In un precedente articolo abbiamo parlato del D.Lgs. 81/2008 aggiornato. Il nuovo intervento normativo, pubblicato in Gazzetta Ufficiale poco prima di Natale, modifica molti articoli significativi. Nello specifico, sono ben 14 gli articoli ritoccati. Le modifiche riguardano, tra l’altro, la questione formazione e addestramento e il ruolo del preposto.
Si parla anche di lavoratori autonomi occasionali². Nello specifico, in caso di attività presso l’azienda di queste figure, l’azienda committente è tenuta a darne comunicazione preventiva all’Ispettorato del lavoro. Come chiarito da una nota del ministero del Lavoro, il nuovo obbligo interessa solo i committenti che operano in qualità di imprenditori.

Consulta la nostra guida riepilogativa
sui nuovi principali adempimenti del Testo Unico sulla Sicurezza

Novità in materia di formazione e addestramento

Una delle novità di rilievo del D.Lgs. 81/2008 aggiornato riguarda la formazione. Il nuovo art. 37 comma 7 della legge di conversione n. 215 introduce l’obbligo di formazione per il datore di lavoro in materia di salute e sicurezza, con un aggiornamento periodico. Entro il 30 Giugno 2022 tocca all’Accordo Stato-Regioni definire durata e contenuti minimi della formazione obbligatoria.
Per quanto riguarda l’addestramento dei lavoratori, è obbligatorio tracciare gli interventi effettuati in un apposito registro di addestramento, anche informatizzato. L’addestramento deve essere effettuato da personale esperto e sul luogo di lavoro e deve comprendere:

Le attività di formazione e l’aggiornamento periodico del preposto devono essere svolte interamente in presenza. Vanno, inoltre, ripetute con cadenza almeno biennale e comunque ogni qualvolta sia reso necessario in ragione dell’evoluzione o dell'insorgenza di nuovi rischi.

Come cambia il ruolo del preposto

Per quanto riguarda il ruolo del preposto, sono parecchie le novità introdotte. In primis, vige l’obbligo per il datore di lavoro di individuare il preposto o i preposti e provvedere alla loro formazione. Per lavori svolti in appalto o subappalto, i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori devono indicare espressamente al datore di lavoro committente il personale che svolge la funzione di preposto.

Entrano in vigore, poi, nuovi obblighi per il preposto. Nel dettaglio, l’Art. 19, comma 1 del TUS prevede che:

Mettiamo a disposizione il modello di individuazione e incarico del preposto e l’informativa sui nuovi compiti del preposto.

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NOTE

¹ Per approfondire: decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 21 ottobre 2021, n. 252, coordinato con la legge di conversione 17 dicembre 2021, n. 215 

² S’intendono i lavoratori inquadrabili nella definizione contenuta all’art. 2222 codice civile. Cioè chi si obbliga a compiere, dietro un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.

Cosa accomuna una carrozzeria e un’azienda chimica? O l’attività metallurgica e  lo stoccaggio di cereali? Il rischio esplosione. Si tratta di un tema di grande rilievo sul fronte della sicurezza sul lavoro. Spesso, tuttavia, c’è confusione tra i termini incendio ed esplosione. Facciamo, dunque, chiarezza, approfondendo gli obblighi del datore di lavoro in questo campo e analizzando come fare una corretta valutazione del rischio esplosione.

Differenze tra incendio ed esplosione

Iniziamo dal chiarire le differenze che sussistono tra incendio ed esplosione. Il termine incendio indica un fenomeno di combustione non controllata che si svolge in uno spazio non appositamente destinato a contenerla. La combustione dipende dal cosiddetto “triangolo del fuoco”. Si tratta della combinazione di tre elementi: materiale combustibile, comburente (normalmente l’ossigeno presente nell’aria) e innesco.

Per esplosione, invece, s’intende una liberazione di energia rapida e localizzata. Questa consiste nella decomposizione esotermica di alcune sostanze (definite esplosive), generalmente in seguito ad accensione. O nella rapida espansione di un gas compresso, accompagnata da effetti acustici, termici, e meccanici.

Gli obblighi del datore di lavoro

L’articolo 289 del D.Lgs. 81/2008 affronta la questione degli obblighi del datore di lavoro per prevenire il rischio esplosione. Si afferma che il datore di lavoro adotta le misure tecniche e organizzative adeguate alla natura dell’attività. Ciò ai fini della prevenzione e della protezione contro le esplosioni, sulla base della valutazione dei rischi e dei principi generali di tutela. In particolare, il datore di lavoro deve prevenire la formazione di atmosfere esplosive¹. Tuttavia, se la natura dell’attività non consente di farlo, occorre:

La valutazione del rischio esplosione

Oltre agli obblighi del datore di lavoro, il D.Lgs. 81/08 tratta anche della valutazione del rischio esplosione. L’art. 290 chiarisce che il datore di lavoro valuta i rischi specifici derivanti da atmosfere esplosive. Ciò tenendo conto almeno della probabilità e della durata della presenza di atmosfere esplosive. Deve, inoltre, valutare la probabilità che le fonti di accensione, comprese le scariche elettrostatiche, siano presenti e diventino attive ed efficaci. Il datore di lavoro deve tenere a mente, inoltre, le caratteristiche dell’impianto, le sostanze utilizzate, i processi e le loro possibili interazioni. Un altro parametro da non dimenticare è l’entità degli effetti prevedibili. Nella valutazione del rischio esplosione vanno considerati anche i luoghi che sono o che possono essere in collegamento, tramite aperture, con quelli in cui possono formarsi atmosfere esplosive.

Documento sulla protezione contro le esplosioni

Documento sulla protezione contro le esplosioni

Tra i compiti del datore di lavoro, per quanto riguarda il rischio esplosione, c’è anche l’elaborazione e l’aggiornamento del Documento sulla protezione contro le esplosioni. Il DPCE deve precisare, tra l’altro, che:

Il Documento sulla protezione contro le esplosioni è parte integrante del documento di valutazione dei rischi (DVR). Deve essere compilato prima dell’inizio dell’attività. E bisogna aggiornarlo qualora luoghi di lavoro, attrezzature o l’organizzazione del lavoro subiscano modifiche, ampliamenti o trasformazioni rilevanti.

Leggi anche: Manutenzione in azienda: strumenti per la sicurezza sul lavoro

Le direttive ATEX: riferimento normativo

La sicurezza nei luoghi di lavoro con pericolo di esplosione è regolamentata, a livello europeo, da due direttive comunemente denominate ATEX. L’acronimo sta per Atmosphères Explosibles. Si tratta del riferimento normativo per la valutazione del rischio esplosione.

La classificazione dei prodotti e delle aree

Sul fronte della classificazione dei prodotti², vengono individuati due macro gruppi (I e II) con varie sottocategorie. Nella classificazione delle aree con rischio esplosione, invece, per quanto riguarda la presenza di gas, si divide in zona:

Per la classificazione delle aree, si fa riferimento a criteri come la quantità e la posizione delle sorgenti di emissione dei gas e la disponibilità della ventilazione. Anche nella classificazione delle zone con polveri combustibili vengono individuate tre aree (Zona 20, Zona 21, Zona 22) sulla base di criteri analoghi.

Leggi anche: Spazi confinati: valutare il rischio per prevenirlo

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NOTE

¹ Per “atmosfera esplosiva” s’intende una miscela con l’aria, a condizioni atmosferiche, di sostanze infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri in cui, dopo accensione, la combustione si propaga nell’insieme della miscela incombusta (D.Lgs. 81/08, art. 288).

² Per approfondire: direttiva 2014/34/UE.

Un rischio in conceria, ma non solo. Abbiamo spesso nominato gli “spazi confinati”, evidenziando alcuni dei rischi che si possono incontrare all’interno di essi. Ma di cosa si tratta con esattezza? Lo vediamo insieme in questo articolo, approfondendo i principali pericoli connessi e cosa dice la legislazione in merito.

Cosa sono gli spazi confinati

L’ambiente confinato, come suggerisce il nome, è un ​​luogo totalmente o parzialmente chiuso, con poche aperture di accesso e una ventilazione naturale sfavorevole. Ciò, tuttavia, non basta a definire uno spazio come confinato. Questo, infatti, deve rispondere a certe caratteristiche. Non deve, ad esempio, essere stato progettato e costruito per essere occupato in permanenza da persone, né destinato a esserlo. All’occasione, però, può essere occupato in forma temporanea per l’esecuzione di interventi come:

Rientrano nella categoria degli spazi confinati: vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos. Ma anche pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie, caldaie e simili. A dirlo è il D.Lgs. 81 del 2008.

I principali rischi

È proprio il Testo Unico sulla sicurezza a prevedere, in una sua appendice, un elenco esemplificativo dei possibili fattori di rischio in ambienti confinati, con le cause potenziali. I fattori di rischio negli ambienti chiusi sono molteplici e vanno dall’esplosione all’incendio, dall’intossicazione alla caduta. Ma possono esserci anche:

Vi sono, poi, il rischio biologico e quello chimico. In questo senso, uno dei principali fattori di rischio è rappresentato dalla possibile formazione di gas nocivi, primo fra tutti l’idrogeno solforato.

Cosa dice la legislazione italiana

Di spazi confinati non parla solo il D.Lgs. 81/2008. È anche il tema attorno a cui ruota il Dpr 177/11. All’articolo 2 si dice che negli spazi confinati le attività possono essere svolte unicamente da imprese o da lavoratori autonomi qualificati. Questi devono possedere specifici requisiti elencati nel decreto stesso. Il datore di lavoro committente deve informare tutti i lavoratori che andranno a operare in ambienti confinati o sospetti di inquinamento su:

Valutazione del rischio e spazi confinati: gli obblighi del datore di lavoro

Tra i diversi obblighi del datore di lavoro vi è quello di fare una precisa e puntuale valutazione di tutti i rischi. A seguito della quale va elaborato il documento di valutazione del rischio (DVR). Tra i rischi da valutare rientrano anche quelli legati agli spazi confinati. Questi, infatti, non sempre sono chiaramente identificabili come tali. È il caso, ad esempio, di vasche interrate e serbatoi pensili per l’acqua potabile. Nel DVR devono essere riportati sia i lavori in ambienti confinati sia i possibili pericoli riscontrabili in tali luoghi. Nel documento di valutazione del rischio va, inoltre, precisato che si sono prese tutte le misure possibili per eliminare il rischio alla fonte. Come, ad esempio, modalità di lavoro alternative all’ingresso in ambienti o spazi confinati.

Ambienti confinati e OT23

È importante, dunque, approfondire il rischio connesso all’attività in spazi confinati. Il datore di lavoro deve individuare, mappare e valutare il rischio per ciascun ambiente confinato. Del tema si occupa anche il modello OT23. Alle aziende viene riconosciuto un punteggio, se queste adottano misure di prevenzione negli ambienti confinati e sospetti di inquinamento.

OT23, lo ricordiamo, è l’agevolazione che ha preso il posto, ormai da qualche anno, di OT24. Con questo incentivo, le aziende ottengono dall’Inail uno sconto sul tasso medio applicato, che varia dal 5 al 28% in ragione della dimensione aziendale. Tuttavia, per potervi accedere, è necessario dimostrare di aver eseguito investimenti in materia di salute e sicurezza. Tra gli interventi ammessi per il raggiungimento dei 100 punti necessari all’accesso all’incentivo, ci sono anche quelli relativi agli spazi confinati. Più precisamente, questi si trovano nella categoria A-1: Ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento. Gli investimenti in materia di ambienti confinati, in particolare, contribuiscono da un minimo di 50 a un massimo di 80 punti.

OT23: cosa fare per accedere all’incentivo

Nel paragrafo precedente abbiamo analizzato come l’incentivo OT23 tratta gli ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento. Più nello specifico si attribuiscono:

I punti A-1.3 e A-1.4 del modello di domanda di riduzione del tasso Inail necessitano di una valutazione preliminare del rischio ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento. Questo per capire i corretti sistemi per un lavoro sicuro e per fare la formazione necessaria.

Siamo al tuo fianco per supportarti su questo tema: scopri il nostro corso locali confinati.

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185. Tante sono state nel primo trimestre 2021 le denunce di infortunio mortale arrivate all’INAIL. Si tratta di 19 in più dello scorso anno, in cui sono state 1.270 complessivamente le morti bianche, oltre 3 al giorno. In lieve calo, invece, nei primi tre mesi dell’anno le denunce di infortunio sul lavoro, ma il dato (128.671) seguita a essere elevato. Il tema della salute e della sicurezza sul lavoro resta, insomma, e deve restare in primo piano. Una sfida che passa anche dalla manutenzione delle strumentazioni di lavoro. Ne parliamo in questo articolo, chiarendo quali sono gli obblighi del datore di lavoro in materia.

Manutenzione: che cos’è?

La manutenzione è la combinazione di tutte le azioni tecniche, amministrative e gestionali eseguite nel ciclo di vita di un’apparecchiatura, impianto o luogo di lavoro. È la norma UNI EN 13306:2018 a definirla così. Queste azioni sono destinate a preservare o a riportare l’apparecchiatura/impianto in uno stato da cui si possa eseguire la funzione richiesta.

Si distingue tra manutenzione correttiva e preventiva. La prima è volta a riparare un sistema per renderlo nuovamente funzionante in caso di un guasto imprevisto. La seconda è eseguita, invece, a intervalli predeterminati o secondo criteri prestabiliti per ridurre la probabilità di guasto o di degrado del funzionamento di un elemento. È il caso, per esempio, della sostituzione di componenti, della lubrificazione o della pulizia.

I rischi legati alla manutenzione

Perché è importante parlare di manutenzione? Perché anche in questa fase, specie nella manutenzione correttiva, si possono verificare infortuni. L’INAIL li quantifica tra il 15 e il 20% del totale. Senza dimenticare che anche una manutenzione inadeguata o assente può essere causa di situazioni pericolose, infortuni e problemi di salute.

La legge stabilisce che il datore di lavoro deve garantire la sicurezza e la salute di tutti i suoi lavoratori. Tra questi sono compresi gli addetti alla manutenzione. Nella valutazione del rischio, infatti, il datore di lavoro deve tener conto anche dei pericoli durante le fasi di manutenzione. E, qualora tale attività sia affidata a ditte esterne, si accerterà che l’appaltatore ottemperi alle prescrizioni previste dalla verifica di idoneità tecnica. Lo vedremo meglio più sotto. Gli addetti alla manutenzione, svolgendo una vasta gamma di attività, possono essere esposti a numerosi pericoli:

Non bisogna scordare, poi, i pericoli psicosociali, legati per esempio a una scarsa organizzazione del lavoro e al rischio di stress lavoro-correlato.

Gli obblighi del datore di lavoro

Il D.lgs. 81 del 2008 elenca, all’articolo 64, gli obblighi del datore di lavoro. Egli deve agire in modo che:

Il datore di lavoro deve fare un’accurata valutazione del rischio, compilando un DVR (Documento di valutazione del rischio). Deve, inoltre, adottare adeguate misure di protezione, di tipo tecnico e organizzativo. Una di queste misure di prevenzione è proprio la manutenzione continua delle attrezzature di lavoro.

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Qualifica professionale delle ditte incaricate

Il datore di lavoro, nel caso affidi la manutenzione delle attrezzature a terzi, deve verificare la loro idoneità tecnico professionale. Ciò in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare, sia in appalto sia mediante contratto d’opera o di somministrazione. Deve, inoltre, fornire informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui questi sono destinati a operare. E sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività.

L’imprenditore committente risponde con l’appaltatore e con gli eventuali subappaltatori per i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato a opera dell’INAIL o dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA). Il personale occupato dall’impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di tessera di riconoscimento con le sue generalità e l’indicazione del datore di lavoro.

Strumenti e buone pratiche per la manutenzione in azienda

Abbiamo, dunque, visto che la manutenzione è un elemento cruciale  in azienda. Un’attenta pianificazione delle attività manutentive è essenziale per ridurre al minimo i rischi.  

I sistemi di gestione generale prevedono di rispettare la legge cogente, quindi anche la salute e sicurezza sul lavoro. Prevedono, inoltre, di gestire l’ambiente di lavoro (e, quindi, anche la manutenzione). Non c’è, però, solo il rispetto degli obblighi di legge. Una buona gestione delle attività di manutenzione produce, infatti, anche effetti sulla qualità di ciò che l’azienda produce. In questo senso, dotarsi di un sistema di gestione della sicurezza sul lavoro (SGSL) non è un obbligo di legge ma un’opportunità. Nell’ottica di migliorare gli standard di salute e sicurezza. 

La messa in atto di sistemi di lavoro sicuri consente una pianificazione proficua della manutenzione per ridurre al minimo i tempi di fermo. E ciò garantisce anche tempo e risorse sufficienti per effettuare l’attività. Un approccio alla manutenzione di questo tipo prevede:

Coinvolgere i dipendenti di tutte le parti dell’organizzazione, infine, può favorire il raggiungimento dell’obiettivo, ovvero una manutenzione efficiente e sicura.

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Il 6 aprile è stato sottoscritto il Protocollo di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro. Il documento rivede le misure dei protocolli sottoscritti nel marzo e aprile 2020. Tiene conto, inoltre, dei vari provvedimenti adottati dal Governo e di quanto emanato dal Ministero della Salute. Vediamo insieme le principali novità del protocollo di contenimento del Covid-19. Con un focus sulle attività di formazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Il nuovo protocollo di contenimento del Covid-19

Mascherine in ogni ambiente di lavoro a prescindere dal distanziamento e nuovo impulso allo svolgimento della formazione anche a distanza. Il nuovo protocollo di contenimento del Covid-19 si muove tra conferme e novità. Da un lato si ribadiscono indicazioni contenute nelle precedenti versioni. Permane, per esempio, l’obbligo di controllo della temperatura corporea all’interno dei locali tramite termoscanner.
Sul fronte delle novità, invece, emerge che:

Covid-19 e formazione: cosa cambia

Dicevamo di novità anche in materia di formazione introdotte dall’aggiornamento del protocollo di contenimento del Covid-19. Approfondiamole:

  1. formazione in azienda esclusivamente per i dipendenti dell’azienda stessa;
  2. formazione interaziendale svolta in locali diversi da quelli delle aziende dei lavoratori interessati;
  3. corsi di formazione in materia di Protezione Civile;
  4. corsi di formazione individuali o che necessitano di attività di laboratorio.

Capitolo scadenza degli aggiornamenti. Viene eliminata la previsione in base alla quale il mancato completamento dell’aggiornamento professionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro non avrebbe comportato l’impossibilità a continuare lo svolgimento dello specifico ruolo/funzione. Il consiglio è di recuperare quanto prima la formazione scaduta nell’arco temporale della pandemia. Questo per evitare l’insorgenza di eventuali dubbi interpretativi e di sanare le posizioni ad oggi in sospeso.

Novità sulle trasferte

Il protocollo di contenimento del Covid-19 affronta, tra le altre, anche la questione delle trasferte in Italia e all’estero. Queste, precedentemente sospese o annullate, possono essere riattivate. Ciò previa valutazione con il medico competente e il RSPP. E tenendo conto del contesto in cui si trovano le diverse tipologie di aziende e dell’andamento epidemiologico delle sedi di destinazione.

A tal proposito, una circolare del Ministero della Salute chiarisce la fattispecie delle trasferte internazionali. Fino al 30 aprile saranno valide le misure già adottate con l’Ordinanza del 30 marzo scorso per gli ingressi dai Paesi in elenco C dell’Allegato 20 del DPCM del 2 marzo scorso.

Sempre fino a fine aprile, sono vietati l’ingresso e il transito in Italia alle persone che nei 14 giorni antecedenti abbiano soggiornato o siano transitate dal Brasile.

Per quanto riguarda Austria, Regno Unito, Irlanda del Nord e Israele, si applica la disciplina prevista per gli Stati e i territori di cui al già citato elenco C integrata dalle disposizioni di cui all’ordinanza del Ministro della salute 30 marzo 2021.

Trasferte brevi per motivi di lavoro

In  caso  di  soggiorno  o  transito  nei  14  giorni antecedenti all'ingresso in Italia in uno o più Stati e territori di cui al succitato elenco C dell’allegato 20, gli ingressi/rientri sono subordinati al rispetto delle seguenti condizioni: 

Permane l’obbligo di autodichiarazione e di comunicare il proprio ingresso nel Paese al Dipartimento di Prevenzione dell’ASL competente. Così come sono confermate le fattispecie di esonero da tali obblighi previste all’art. 51 comma 7 del DPCM del 2 marzo. Tra queste vi sono anche le trasferte brevi per motivi di lavoro di durata non superiore alle 120 ore.

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Con l’arrivo dell’estate, molte aziende hanno pianificato le ferie annuali. Ma come fare i conti con il successivo rientro, data l’attuale allerta sanitaria?
Il Consiglio dei Ministri ha deliberato la proroga dello stato d’emergenza dichiarato lo scorso 31 gennaio fino al 15 ottobre 2020. Ciò in conseguenza della dichiarazione di “emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale” da parte della Organizzazione mondiale della sanità (OMS). In questo articolo parleremo di come devono attrezzarsi le aziende per prevenire contagi “di rientro”, mettendo a disposizione un modello di Informativa  e autocertificazione per il ritorno dalle ferie e Covid-19.

L’informativa per il ritorno dalle ferie e Covid-19

Al fine di proteggere il più possibile sia i dipendenti dal contagio, sia l’Azienda dai danni economici della scoperta di un caso al suo interno, l’Azienda può distribuire a tutto il personale, dietro ricevuta,  un’informativa per il rientro dalle ferie e Covid 19.

Con questo documento, il datore di lavoro comunica al lavoratore che, in caso di:

egli deve comunicarlo subito al Dipartimento di prevenzione dell'ULSS (tramite modulo online), che provvederà a sottoporlo a sorveglianza sanitaria e restare in quarantena fiduciaria per un periodo di 14 giorni. 

SCARICA IL MODELLO DI INFORMATIVA
CON L’AUTOCERTIFICAZIONE

Procedura per il ritorno dalle ferie e Covid-19

Dopo che l’azienda ha distribuito l’informativa a tutto il personale (dietro apposita ricevuta) ogni dipendente, per accedere al lavoro:

Restituendo compilata e firmata l’autocertificazione per il rientro dalle ferie e Covid 19 il lavoratore dichiara di NON:

Rientro dalle ferie e responsabilità del datore di lavoro

Se il Datore di Lavoro, non deve ammettere il dipendente al lavoro se sa per certo, o ha il dubbio fondato che il lavoratore sia rientrato dall’estero senza rispettare l’obbligo di segnalazione al Dipartimento di prevenzione dell'ULSS e di quarantena fiduciaria da Stati diversi da quelli elencati nell’informativa o da aree che, pur comprese negli Stati elencati nell’informativa, sono considerate pericolose in base ai dati epidemiologici del momento. In questo caso egli deve invece:

Altre informazioni sulla fruizione delle ferie durante l’epidemia di coronavirus qui (link).

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La valutazione del rischio (DVR) è il documento fondamentale nell’ambito della salute e sicurezza sul lavoro. Il datore di lavoro, infatti, è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Il DVR è quindi lo strumento primario per assolvere a quest’obbligo.

Realizzare correttamente il Documento di Valutazione del Rischio è dunque il primo passo per il datore di lavoro per sollevarsi dalle conseguenze di un incidente sul lavoro. A livello legale, ma non solo. Un’azienda sicura infatti, come diciamo sempre, è anche un’azienda più efficiente e produttiva.

Le norme sulla valutazione del rischio

Una primaria fonte in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro è l’articolo 2087 del Codice Civile, entrato in vigore nel 1942. Già nel 1930, comunque, il Codice Penale aveva introdotto il reato di “Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro” (Art.  437).

La norma fondamentale in questo ambito in ogni caso è il Testo unico della Salute e Sicurezza sui luoghi di lavoro (D. Lgs. 81/2008 - Ex legge 626/94). Ed è proprio tale testo unico a introdurre lo strumento che è divenuto obbligatorio per tutti i datori di lavoro: il Documento di Valutazione dei Rischi.

Quali rischi deve valutare il datore di lavoro?

Il DVR come disciplinato dal Testo unico, deve prendere in considerazione ogni tipologia di rischio in cui i lavoratori di un’azienda possono incorrere. Viene redatto dal datore di lavoro e firmato da egli stesso insieme al Medico competente, al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e al Rappresentante dei lavoratori sulla sicurezza (RLS).

La legge obbliga il datore di lavoro di non tralasciare alcuna fonte di possibile danno per i lavoratori. Tra queste ricordiamo: 

Nel prossimo articolo vi parleremo invece di come viene redatto il Documento di Valutazione del Rischio.

Siamo a disposizione per affiancare le aziende nella redazione del documento di valutazione del rischio a partire dall’analisi iniziale fino all’assunzione dell’incarico di RSPP e alla formazione delle altre figure previste dalla legge. Per ulteriori informazioni contattaci. Ci trovi ad Arzignano in provincia di Vicenza.

Schede di sicurezza: cosa sono? Come utilizzarle? Dove trovarle? Quando metterle a disposizione? Di chi è la responsabilità? Si tratta di questioni non trascurabili per le aziende che utilizzano sostanze chimiche. Come vi abbiamo già ricordato, infatti, il prossimo 31 maggio termina il regime transitorio del nuovo regolamento europeo REACH. Le aziende devono quindi mettersi in regola per non incorrere in sanzioni.

Cosa sono le schede di sicurezza (SDS)

Le schede di dati di sicurezza, o SDS (Safety Data Sheet) sono il documento tecnico indispensabile per le sostanze chimiche in Europa. Secondo quanto previsto dal REACH, accompagnano ciascun prodotto lungo tutta la catena di approvvigionamento e contengono le informazioni sulle proprietà fisico-chimiche e di pericolo per l'uomo e l'ambiente necessarie per un utilizzo corretto e sicuro.

La catena delle responsabilità

Il regolamento REACH impone ai produttori/importatori di prodotti chimici di fornire ai propri clienti per ogni sostanza una scheda di sicurezza adeguata ed aggiornata, redatta nella lingua dello Stato in cui viene introdotta. Per il cliente industriale (datore di lavoro o responsabile da egli nominato) conoscere il contenuto delle SDS diventa fondamentale per assolvere ai doveri di legge. Tra i suoi obblighi ci sono infatti:

I doveri del personale di ogni azienda utilizzatrice di sostanze chimiche, infine, è quello di seguire le istruzioni d'uso impartite dai superiori e, in caso di dubbio, consultare la SDS o il responsabile della sicurezza.

Una banca dati per le SDS

Tra le schede di sicurezza in circolazione, purtroppo, ce ne sono anche di scarsa qualità. Il Ministero della salute per questo ha predisposto una banca dati di SDS. Questo database di modelli, aggiornato mensilmente, rappresenta un punto di riferimento informativo per aziende e organi di vigilanza. Per comprendere le difficoltà nell'uso delle delle SDS in vista di possibili miglioramenti, Inail, Echa e Federchimica hanno messo online in questi giorni un questionario che costituisce la prima indagine europea in materia.

Pensare al futuro

Il regolamento REACH è un esempio di come l'atteggiamento dell'Unione Europea nei confronti dell'utilizzo di sostanze chimiche sia sempre più normato e vincolato. In  questo contesto, adeguarsi ai regolamenti significa non solo mettersi al riparo dalle sanzioni. Si tratta invece di acquisire una cultura della sicurezza nell'utilizzo delle sostanze chimiche utile ad affrontare i cambiamenti futuri.

Siamo a disposizione per fornire alle aziende le indicazioni necessarie a mettersi in regola con il Reach e verificare l’adempimento di tutte le norme sul rischio chimico. Per ulteriori informazioni, o per richiedere un sopralluogo gratuito, contattaci. Ci trovi ad Arzignano, in provincia di Vicenza.

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