Quando è scoppiata la pandemia di Coronavirus, in molti non lo conoscevano. Ora è salito alla ribalta. Di cosa parliamo? Di smart work e sicurezza sul lavoro. In questo post, vedremo:
Lo smart work (anche chiamato lavoro agile) non è una tipologia contrattuale, bensì una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato in cui mancano vincoli orari o spaziali. Per operare in smart work, si usano strumenti che consentono di lavorare da remoto, come computer, tablet e smartphone. Come abbiamo visto in un post precedente, lo smart work viene definito nella Legge n. 81/2017 ed è organizzato per fasi, cicli e obiettivi che vengono accordati tra datore di lavoro e dipendente.
Secondo un recente sondaggio l’80% degli italiani che lavora da casa giudica positivamente questa modalità e il 37% sarebbe disposto a rinunciare a parte del proprio stipendio pur di continuare a lavorare con modalità smart work. Tuttavia, è da tenere in considerazione che un italiano su tre ha problemi per l’accesso alla rete o non ha disponibilità di computer e apparecchi tecnologici.
Molto spesso, i termini smart work e telelavoro vengono usati erroneamente come sinonimi. In realtà, infatti, queste sono due modalità di lavoro distinte. Le differenze tra le due, sono soprattutto per quanto riguarda orario e luogo di lavoro.
Questa distinzione è importante, perché nel caso di telelavoro (ma non in caso di smart working, dato il carattere di flessibilità di questa modalità) l’azienda è tenuta a fornire al lavoratore una postazione ergonomica in cui svolgere l’attività. Nel caso di smart working, invece, particolare attenzione deve essere posta al “diritto alla disconnessione” del lavoratore.
Secondo l'articolo 22 del d.lgs. n. 81/2017, il datore di lavoro deve garantire la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità smart working. Deve, tra le altre cose, consegnare al lavoratore (ed eventualmente al Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
Il datore di lavoro, teoricamente, sarebbe tenuto anche per i lavoratori in smart work a verificare tramite sopralluogo la corretta attuazione della normativa in materia di salute e sicurezza. Tuttavia in pratica ciò non è sempre possibile. Qualora la prestazione sia svolta prevalentemente presso il domicilio del lavoratore infatti, la verifica è subordinata al preavviso e al consenso dello stesso. Se necessario i lavoratori devono anche essere sottoposti a sorveglianza sanitaria (p. es. in relazione ai rischi connessi all’uso continuativo di videoterminale).
In materia di smart work e sicurezza, l'articolo 23 del suddetto d.lgs., riconosce al lavoratore il diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali. Prevede inoltre la tutela INAIL per infortuni e malattie professionali (secondo le modalità illustrate nella Circolare n. 48/2017) e anche per infortuni in itinere. In quest’ultimo caso, tuttavia, la copertura è limitata agli spostamenti dettati da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza.
Anche i lavoratori in smart working sono sottoposti agli obblighi formativi come tutti gli altri lavoratori. Oltre alla formazione generale, in base alla mansione svolta, il datore di lavoro dovrà considerare anche corsi relativi ai rischi specifici connessi al lavoro agile. Per esempio: la scelta del luogo di lavoro, l’allestimento della postazione, l’uso degli strumenti tecnologici. Ricordiamo che molti corsi di formazione possono essere erogati a distanza: una modalità particolarmente utile in caso di lavoro agile. I corsi in videoconferenza, in ogni caso, dovranno essere privilegiati per tutti i lavoratori (salvo impossibilità oggettive) fino alla fine dell’emergenza sanitaria.
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Il lavoratore, dal canto suo, ha l’obbligo di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi a un ambiente diverso dal luogo di lavoro. Deve, inoltre, evitare luoghi, ambienti, situazioni e circostanze che possano rappresentare un pericolo per se stessi o per terzi.
L’INAIL ha rilasciato un’informativa sulla salute e sicurezza nel lavoro agile ai sensi dell’articolo 22, comma 1, L. 81/2017 (scaricabile al seguente link) così strutturata:
Alla fine dell’informativa, è riportata una tabella riepilogativa in cui si indica in quali dei diversi scenari lavorativi dovranno trovare applicazione le informazioni contenute nei diversi capitoli.
La modalità di lavoro agile, oltre ai rischi generici connessi al tipo di mansione (relativi ad esempio l’uso di videoterminali o alla postura di lavoro), presenta anche dei rischi specifici. Ecco alcuni esempi che dovrebbero essere tenuti in considerazione dal datore di lavoro in materia di smart work e sicurezza. Ad esempio può valutare la possibilità di un aggiornamento del DVR e la creazione di piani formativi ad hoc:
Con lo scoppio della pandemia di Coronavirus, per far fronte a tale emergenza, il Governo ha emanato il 1° marzo 2020 il Decreto Rilancio che interviene anche sulle modalità di accesso allo smart working. Stabilisce che i datori di lavoro potranno applicare la modalità di smart work a ogni rapporto di lavoro subordinato fino alla cessazione dello stato di emergenza e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2020. È stata anche introdotta una nuova procedura semplificata per la comunicazione dei dati dei lavoratori in lavoro agile.
I lavoratori con almeno un figlio a carico che abbia meno di 14 anni avranno diritto al lavoro agile a condizione che: