In estate fa caldo. E, fin qui, nulla di eccezionale. L’estate 2022, tuttavia, si sta rivelando una delle più calde (e siccitose) di sempre, alimentando il dibattito sui cambiamenti climatici. Non è questa la sede per ragionare sul tema, che, però, pone delle questioni a livello di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Perché aumentano i rischi relativi allo stress termico, specie per alcune professioni. Non è, insomma, un dibattito sterile: si tratta di trovare soluzioni e accorgimenti per la sicurezza dei lavoratori. In questo articolo scopriamo di più sul microclima nell’ambiente di lavoro.
Temperature eccessive nei luoghi di lavoro rappresentano un fattore di rischio da non sottovalutare. L'uomo, infatti, come tutti i mammiferi, è omeotermo. Riesce, cioè a termoregolarsi, mantenendo costante la propria temperatura corporea, di norma tra 35,8°C e 37,2°C. Questo intervallo garantisce condizioni di salute e benessere dell’individuo. Quando il corpo, con il minimo impegno dei meccanismi di termoregolazione, non prova sensazione di freddo o di caldo, si trova in uno stato di “benessere termico”. Perché parliamo di questo? Perché ne consegue che il microclima nell’ambiente di lavoro assuma un ruolo importante. Con microclima ci riferiamo a un concetto che include parametri ambientali come:
Questi parametri condizionano lo scambio termico tra individuo e ambiente, influendo in modo significativo sulla qualità degli ambienti di lavoro e, quindi, sul benessere delle persone. La percezione della condizione microclimatica è influenzata, però, anche da parametri individuali. Tra questi: l’attività metabolica dell’organismo e la tipologia di abbigliamento indossato, oltre ovviamente alla tipologia di mansione svolta.
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La valutazione del microclima, dunque, è alla base di un ambiente di lavoro sano. Tuttavia, in base alle condizioni microclimatiche, gli ambienti si possono distinguere in ambienti moderati e severi. Nei primi è possibile raggiungere condizioni di comfort anche grazie all’utilizzo di impianti di condizionamento. Nei secondi, invece, a causa delle necessità produttive o delle specifiche condizioni ambientali, ciò non è possibile. E l’aumento della temperatura media e dell’intensità delle ondate di calore possono determinare un aumento del rischio di infortuni sul lavoro. Come rilevano gli esperti, l’esposizione prolungata al caldo è in grado di causare una perdita di attenzione e una minore capacità di reagire agli eventi imprevisti. Non solo. Esistono, infatti, condizioni cliniche correlate all’esposizione a elevate temperature. Tra queste troviamo:
Se lo stress termico non è trattato tempestivamente, si può andare incontro a colpo di calore. Una condizione che può comportare aritmie cardiache e l’innalzamento della temperatura corporea oltre i 40°.
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Un’errata gestione del microclima nell’ambiente di lavoro rischia, dunque, di creare criticità non da poco per la salute dei lavoratori. Per aiutare le aziende e i professionisti, INAIL e ministero della Salute hanno realizzato delle linee guida dedicate¹. Un pratico vademecum per capire cosa fare e cosa no, agendo anche e soprattutto sulla prevenzione. Nella consapevolezza che ciascuno deve fare la sua parte. Per prevenire situazioni di stress termico, il datore di lavoro deve identificare misure preventive e protettive utili a ridurre eventuali danni. Tra queste:
Allo stesso modo, dove possibile, il datore è tenuto a mettere a disposizione luoghi climatizzati in cui i dipendenti possono trascorrere le pause dal lavoro.
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Abbiamo visto che, per raggiungere una condizione di benessere, si passa dalla corretta gestione del microclima nell’ambiente di lavoro. Difendersi dalle alte temperature è, dunque, fondamentale per prevenire rischi correlati al caldo. Specie d’estate. Tutto ciò, però, non basta. Infatti, se l’attenzione nei confronti di tale problema è alta, spesso si trascura il rischio legato all’esposizione ai raggi UV di chi lavora all’aria aperta. Vari studi scientifici evidenziano che tali radiazioni rappresentano il fattore di rischio più importante per l’insorgenza dei tumori alla pelle. In particolare, l’esposizione alla radiazione solare ultravioletta è classificata dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro come cancerogeno di gruppo 1 associato con il più elevato livello di causalità per carcinoma cutaneo. In Italia si stima che circa 700.000 lavoratori siano esposti al rischio cancerogeno da radiazioni. Gli ambiti sono molteplici: dall’agricoltura all’edilizia, dalla manutenzione strade all’attività estrattiva. In questo caso, gli esperti raccomandano, tra l’altro, di mantenere una corretta e costante idratazione, di indossare abiti leggeri e un copricapo. È consigliabile, inoltre, quando possibile, lavorare nelle zone meno esposte al sole, ridurre il ritmo di lavoro, anche attraverso l’utilizzo di ausili meccanici, e fare interruzioni regolari in luoghi freschi.
NOTE
¹ Per approfondire: Estate sicura – Caldo e lavoro. Guida breve per i lavoratori