La certificazione della parità di genere oggi è un trend topic. Negli anni l’attenzione sul tema della parità tra donne e uomini rispetto a diritti, trattamento, responsabilità, opportunità e risultati economici e sociali è aumentata. Come anche le iniziative di sensibilizzazione e le misure adottate dalle aziende. Certo, la strada è ancora lunga, almeno in Italia: in base al Gender Equality Index 2022¹, siamo al 14° posto nell’UE a livello di uguaglianza di genere. Si viaggia sotto di 3,6 punti rispetto alla media europea. Nonostante dal 2010 il punteggio dell’Italia sia aumentato di quasi 12 punti, è proprio la sfera del lavoro quella dove più c’è da fare. Dal 2019, infatti, il punteggio dell’Italia è diminuito di 0,5 punti e, con 63,2 punti, ci colloca all’ultimo posto tra i 27 Stati membri. Ciò, principalmente, per gli ancora alti livelli di disuguaglianza di genere in ambito professionale. Insomma, c’è da rimboccarsi le maniche.
Equità salariale, politiche paritetiche di formazione, accesso al lavoro e avanzamento di carriera, ma anche attenzione alla genitorialità, work life balance ed empowerment femminile Sono solo alcune delle aree di valutazione previste dal Sistema di certificazione della parità di genere alle imprese, introdotto dal PNRR e disciplinato dalla legge n. 162 del 2021 (legge Gribaudo)².
Per spronare le imprese all’adozione di policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree maggiormente critiche per la crescita professionale delle donne, il Sistema prevede un principio di premialità che si realizza con meccanismi di incentivazione. Di fatto, alle aziende private in possesso della certificazione della parità di genere viene concesso un esonero dal versamento di una percentuale dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro. Per ottenere la certificazione, si deve implementare un sistema di gestione per la gender equality secondo i parametri definiti dalla prassi UNI/PDR 125:2022rilasciata da un organismo di certificazione accreditato. La prassi prevede l’adozione di specifici indicatori prestazionali (KPI), che permettono la misura, la rendicontazione e la valutazione dei dati nelle organizzazioni con l’obiettivo di colmare i gap esistenti.
La certificazione avviene su base volontaria e su richiesta dell’impresa. Non c’è, dunque, attualmente alcuna obbligatorietà: si tratta, però, di una grande opportunità. Come indicato dalle linee guida della prassi di riferimento UNI/PDR 125:2022³, per ottenere la certificazione, l’azienda deve dimostrare il rispetto di una serie di indicatori di prestazione. Sono state individuate, nello specifico, 6 aree attinenti alle differenti variabili che possono contraddistinguere un’organizzazione inclusiva e rispettosa della parità di genere nel lavoro. Ovvero:
Ogni area è contraddistinta da un peso percentuale (fatto 100 il totale del peso delle differenti aree). Questo contribuisce alla misurazione del livello as-is dell’organizzazione e rispetto al quale sono misurati gli stati di avanzamento costanti nel tempo. Per ciascuna area di valutazione sono stati identificati specifici KPI, di natura quantitativa e qualitativa. Con questi si misura il grado di maturità dell’organizzazione attraverso un monitoraggio annuale e una verifica ogni due anni. Il rispetto di almeno il 60% dei traguardi previsti nei vari ambiti consentirà all’azienda di ottenere la certificazione della parità di genere, che ha dunque validità triennale.
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Un’opportunità, si diceva, a tutto tondo: per migliorare l’equità lavorativa e la qualità stessa del lavoro femminile. Ma anche, più ampiamente, per rafforzare l’immagine e la reputazione aziendale.
In più, come anticipato, c’è anche la possibilità di accedere a incentivi ed esoneri contributivi. La Circolare INPS numero 137⁴ dello scorso dicembre indica le modalità per la fruizione dell’esonero contributivo da parte dei datori di lavoro privati in possesso della certificazione sulla parità di genere. L’esonero viene calcolato sulla contribuzione previdenziale complessivamente dovuta dal datore di lavoro, in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui.
Per le sole piccole medie e micro imprese sono previsti due contributi. Uno, fino a 2.500 euro, è coordinato dal Dipartimento ministeriale e supporta i servizi di assistenza tecnica e accompagnamento alla certificazione. L’altro, fino a 12.500 euro, è erogato direttamente dagli organismi di certificazione, e sostiene i costi necessari per la certificazione stessa (fino a 12.500 euro).
Questione tempistiche. Per l’anno 2022, la partita, ahinoi, è chiusa. Le domande volte al riconoscimento dell’agevolazione potevano essere presentate dai datori di lavoro in possesso della certificazione entro il 31 dicembre 2022 fino al 15 febbraio 2023. Già da ora, però, ci si muovere per farsi trovare pronti il prossimo anno. L’orizzonte, infatti, è di medio-lungo periodo. Tenendo anche conto che è in corso una Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 che punta a ottenere, tra l’altro, l’incremento di 5 punti nella classifica del già citato Gender Equality Index.
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FONTI
¹ Gender Equality Index 2022, European Institute for Gender Equality
² L’articolo 4 della legge 162/2021 ha previsto l’inserimento nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna l’istituzione della cosiddetta “certificazione della parità di genere”, a decorrere dal 1° gennaio 2022
³ Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere, UNI/PDR 125:2022